Meridionale Petroli, l’appello dei lavoratori: non toccare Vibo Marina

I dipendenti lanciano un messaggio contro il rischio di riconversione turistica che minaccia stabilità occupazionale e attività industriale

I lavoratori della Meridionale Petroli, azienda del Gruppo Ludoil, preoccupati del futuro del sito industriale di Vibo Marina, hanno scritto un appello per la salvaguardia operativa dell’area e dei livelli occupazionali. “Siamo interpreti silenziosi di una Calabria operosa, concreta, che non si arrende all’assistenzialismo né alle narrazioni consolatorie. Ogni giorno contribuiamo al funzionamento di un’infrastruttura vitale per l’intera regione. Negli ultimi giorni – prosegue l’appello – alcune dichiarazioni pubbliche e una certa retorica politica sembrano aver anticipato, con leggerezza disarmante, il destino dell’area industriale su cui insiste il sito operativo di Meridionale Petroli. Non più un confronto pianificatorio, ma un indirizzo già tracciato”.

Secondo i lavoratori, si “annuncia una rinascita turistica come fosse un progetto compiuto, relegando l’industria e l’occupazione reale a scorie del passato, da dismettere senza appello. Si parla con enfasi di ‘riconversione’, di ‘nuova vocazione per Vibo Marina, come se bastasse mutare una destinazione urbanistica per riscrivere l’identità di un territorio. Ma dietro ogni formula suggestiva si cela una rimozione sostanziale: non si dice cosa accadrà a chi lavora, a chi vive grazie a quell’indotto, a chi ha costruito, negli anni, competenze, stabilità e legami economici attorno a un’infrastruttura che non è solo funzionale, ma comunitaria”.

Secondo i lavoratori, si “annuncia una rinascita turistica come fosse un progetto compiuto, relegando l’industria e l’occupazione reale a scorie del passato, da dismettere senza appello. Si parla con enfasi di ‘riconversione’, di ‘nuova vocazione per Vibo Marina, come se bastasse mutare una destinazione urbanistica per riscrivere l’identità di un territorio. Ma dietro ogni formula suggestiva si cela una rimozione sostanziale: non si dice cosa accadrà a chi lavora, a chi vive grazie a quell’indotto, a chi ha costruito, negli anni, competenze, stabilità e legami economici attorno a un’infrastruttura che non è solo funzionale, ma comunitaria”.

L’area al centro del dibattito “non è un vuoto da riempire, né un retaggio da cancellare. È un presidio industriale operativo, strategico, sottoposto da sempre a rigorosi controlli ambientali e di sicurezza. Da qui transita oltre il 60% dell’approvvigionamento di carburante dell’intera Calabria. Smantellare questa rete senza una progettazione solida, senza garanzie occupazionali, senza un’alternativa concreta, significa compromettere la funzionalità logistica della Regione, minare la stabilità di migliaia di posti di lavoro, tra impieghi diretti e indotto, e ignorare deliberatamente il diritto al futuro di centinaia di famiglie”.

“Non si può sostituire il certo con l’incerto, né sacrificare un’economia esistente sull’altare di una visione ancora tutta da costruire. La trasformazione del territorio, se mai avverrà, non può iniziare con l’esclusione di chi lo abita e lo sostiene ogni giorno. In questo quadro, ciò che più ci allarma è il silenzio – se non l’evidente fastidio – con cui una parte della politica locale tratta il tema occupazionale”, proseguono i lavoratori.

“Ci chiediamo, con spirito costruttivo ma con fermezza: dove sono i dati, gli studi, le proiezioni che attestino la reale capacità di un eventuale operatore turistico di garantire la stessa tenuta occupazionale, la medesima stabilità fiscale e il livello di continuità infrastrutturale oggi assicurati dal sito industriale? Chi sarà in grado di assorbire le competenze, che ruotano attorno a questa filiera logistica, senza disperdere anni di esperienza, investimenti e lavoro qualificato? Chi si farà carico dell’enorme vuoto lasciato dai mancati introiti fiscali per la Regione e gli enti locali? A ciò si aggiunge un elemento di metodo: la totale assenza di concertazione Le organizzazioni sindacali sono state escluse dal dibattito, le voci del lavoro marginalizzate”.

“Come lavoratori e lavoratrici, ci sentiamo traditi. Profondamente. Traditi da un’amministrazione che ha scelto di decidere sopra le nostre teste. Traditi da forze politiche che hanno preferito inseguire una narrazione di comodo piuttosto che confrontarsi con la realtà. Ma non resteremo a guardare. Dietro questo sito non ci sono solo impianti e serbatoi. Ci sono migliaia di persone, tra occupazione diretta e indotto. Ci sono famiglie, figli da mantenere, comunità ed imprescindibili economie locali. Faremo tutto ciò che è necessario, con determinazione e con forza, affinché questa vicenda non venga sepolta nel silenzio. Chiederemo conto, in ogni sede, di ogni scelta compiuta senza confronto. Perché non esiste sviluppo sostenibile che possa fondarsi sull’espulsione silenziosa del lavoro. Non esiste strategia pubblica credibile che si nutra di slogan invece che di dati, confronto e visione”, conclude l’appello. (Ansa)

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