’Ndrangheta, c’è un nuovo collaboratore di giustizia

L’ex esponente delle cosche di Archi ha iniziato a parlare con la Dda, svelando segreti su alleanze criminali, armi nascoste e omicidi

A Reggio Calabria c’è un nuovo collaboratore di giustizia. Si tratta di Antonino Randisi, esponente delle cosche di ‘ndrangheta di Archi.

Nelle settimane scorse, Randisi ha scelto di saltare il fosso rendendo le prime dichiarazioni alla Direzione distrettuale antimafia guidata dal procuratore Giuseppe Lombardo. Quattro verbali del nuovo collaboratore sono stati depositati stamattina nel processo “Gallicò”, nato da un’inchiesta della Dda contro cosche nella zona nord di Reggio Calabria. È il processo che ha acceso un faro sulle frizioni tra i clan di Gallico. I verbali sono stati depositati nel fascicolo processuale dal procuratore aggiunto Walter Ignazzitto.

Uomo di fiducia del boss Luigi Molinetti, detto la “Belva”, Antonino Randisi era imputato nel processo “Epicentro” da cui lo scorso luglio era stato assolto dalla Corte d’Appello. Dopo l’assoluzione, quindi, si è presentato ai magistrati per collaborare con la giustizia: “Intendo superare gli errori del passato – ha dichiarato ai pm – e voglio cambiare vita. Ho capito che questa non è la vita che voglio. Ho scelto di collaborare da uomo libero, non temo la carcerazione, ma voglio rimediare ai miei errori”.

Ai magistrati, Randisi ha raccontato di aver ricevuto “la dote dello sgarro” da Carmine De Stefano. E ha riferito anche dei luoghi dove venivano nascoste le armi degli “arcoti” e le dinamiche all’interno del locale di Gallico dove i Molinetti avevano “stretto un patto” con Nino Crupi e Mario Corso, soggetti imputati per associazione mafiosa, che “comandavano a Gallico sotto l’egida di Gino Molinetti”. “La divisione di tutto ciò che riguardava il territorio di Gallico, non solo le estorsioni – ha affermato il collaboratore – doveva essere effettuata al 50%: metà al gruppo Molinetti e l’altra metà a Corso e Crupi”. Ai magistrati, infine, Randisi ha parlato dell’omicidio di Paolo Munno, un pregiudicato ucciso ad Archi nel 2012 all’interno del circolo ricreativo che gestiva la vittima.

“L’esecutore fu Giuseppe Molinetti, figlio di Luigi Molinetti, e Ciccio Saraceno gli fece da palo. – c’è scritto nei verbali depositati oggi in aula – Venne utilizzata una pistola a tamburo”. Naturalmente sulle dichiarazioni sta indagando la Dda di Reggio Calabria.

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