Il “suicidio assistito” dei piccoli borghi: uno spopolamento inarrestabile

I piccoli centri si spengono come candele, uno dietro l'altro, e così il risultato finale sarà che il Paese è destinato a morire

Quindi l’Italia andrà a investire miliardi negli armamenti. Visto che quasi tutto il mondo che conta – imprese, finanza, opinion leader, giornali e giornaloni – è d’accordo su questa scelta, allora sarebbe opportuno che la Calabria tutta appoggiasse la petizione popolare che Santo Gioffrè ha preannunciato dal suo sito:

“Sta partendo una campagna di raccolta firme per chiedere alla guerriera Meloni di riaprire le splendide armerie della Ferdinandea, sulle montagne delle Serre Calabresi di Mongiana. Così i soldi che caccerà solo alla sanità calabrese (perché lo sapete che ci prenderanno, pure, i mutanti, vero?) per prepararsi alla guerra, li recupereremo fabbricando armi griffate. Aiutateci a far sentire la vostra voce”.

Aree interne abbandonate

In questa campagna penso che un appoggio prezioso verrebbe dal ministro Foti e dal governo tutto che, all’allarme lanciato dal prof. Vito Teti sulla volontà del governo di abbandonare a se stesse le aree interne calabresi e meridionali, ha precisato: “Mai detto che lo spopolamento è irreversibile”. Vito Teti nella sua replica rilancia con una punta di ironia: “Colpito da tanta attenzione, vorrei chiedere al ministro cosa davvero intenda fare per un Sud sempre più mortificato e moribondo”. E qui cadde il silenzio.

Un piano mirato

L’allarme di Vito Teti è stato rilanciato il 12 giugno in un incontro organizzato dal CERSTE (Centre Européen des Recherches Socio-Économiques, Technologiques et Environnementales) da un gruppo di studiosi, amministratori e attivisti. Il cuore del problema è stato ripreso in un articolo di questi giorni da Alfonso Scarano su Il Fatto Quotidiano, che denuncia:

“C’è un passaggio, in un documento ministeriale pubblicato quasi in sordina all’inizio dell’estate, che dovrebbe far tremare le fondamenta della nostra Repubblica. È una frase contenuta a pagina 45 del nuovo Piano Strategico Nazionale delle Aree Interne 2021-2027 (PSNAI)… e recita: ‘Queste aree non possono porsi alcun obiettivo di inversione di tendenza ma nemmeno essere abbandonate a se stesse. Hanno bisogno di un piano mirato che le accompagni in un percorso di cronicizzato declino e invecchiamento.'”

Siamo in pratica di fronte a un piano per il suicidio assistito. Non di malati terminali che ne fanno richiesta, ma di tanti piccoli borghi e paesi d’Italia – e in questo caso, anche senza il loro consenso.

Rischiano di scomparire

L’articolo di Scarano spiega bene la drammaticità della situazione: sono quasi 4.000 i Comuni italiani, sparsi in ogni regione, che si trovano lontani dai centri dove si concentrano servizi essenziali come sanità, istruzione e mobilità. Coinvolgono oltre 13 milioni di cittadini – il 23% della popolazione – distribuiti su quasi il 60% del territorio nazionale. In pratica, l’Italia profonda. Quella che custodisce boschi, pascoli, acque, borghi storici, comunità coese. E che oggi si vede diagnosticare una malattia terminale.

Gli incendi devastanti di questo inizio d’estate – anche in Calabria – sono l’ennesima dimostrazione che i problemi vanno affrontati non con soluzioni spettacolari, con i droni che volteggiano nei cieli di Calabria, ma con politiche serie di programmazione, di recupero e di sviluppo.

Turismo e natura

Non ho le capacità di fare una proposta articolata, ma nel settore che conosco – il turismo – posso affermare che tanto è stato fatto nel recupero di centri abbandonati, da Pentedattilo a Badolato Superiore, e tanto può essere ancora messo in campo. Il problema non deriva dall’avere una viabilità facile o nuove superstrade che sventrano la montagna. Il turista naturalistico vuole scoprire luoghi inaccessibili, è attratto da questo. Quello che chiede è: servizi e assistenza, reti digitali di telecomunicazione veloci, una buona rete elettrica, assistenza sanitaria raggiungibile e teleassistenza, presidi di carabinieri, eccetera eccetera. Non essere abbandonato a se stesso. Così come i marcatori identitari pensati dalla Regione sono un elenco numerico che non suscita curiosità e attrazione. Ma il turismo naturalistico e quello delle radici da soli non bastano. Va affrontato il tema di come aprire questi borghi ai migranti.

I borghi dell’accoglienza

Una discussione bisogna riaprirla sull’esperienza de “Il borgo dell’accoglienza” che Mimmo Lucano tentò a Riace, pagandone ancora oggi un prezzo altissimo. Come tanti altri esempi che vengono da cooperative, associazioni, piccoli comuni. Alla luce del decreto flussi, che porterà 500 mila stranieri ad entrare in Italia ufficialmente per dare un sollievo alla carenza di lavoratori nelle aziende italiane, si riapre la questione della carenza di manodopera, ma anche di nuove intelligenze, di giovani, di donne, di cittadini.

Ecco perché bisogna superare le timidezze e mettere in campo leggi e finanziamenti per la nascita di tanti progetti sperimentali tra piccoli paesi, per dare vita a cooperative che mettano insieme l’accoglienza con attività produttive nell’artigianato, nel turismo e nell’agricoltura. Cooperative miste tra giovani calabresi e migranti, con l’affidamento di terreni demaniali, impianti pubblici, edifici abbandonati. Non scopro nulla di nuovo. L’esperienza di GOEL, di Progetto Sud di Giacomo Panizza, e tante altre realtà possono essere esempi da seguire.

La restanza

Vito Teti, con il suo saggio La restanza, ha fatto diventare questo un tema conosciuto non solo da esperti, ma all’attenzione di un pubblico enorme. Studi approfonditi di decenni – che hanno trovato forma nei suoi saggi più corposi, da Il senso dei luoghi a Quel che resta – sono alla base di proposte serie e non improvvisate. L’importante è che i partiti progressisti abbiano l’umiltà di coinvolgere tutto questo mondo, che può dare idee e suggerimenti, e fare di questo tema una battaglia di massa. Vito Teti sottolinea sempre l’importanza del concetto di movimento, che lui illustra con un detto dialettale: “Lu ire, e lu venire, deu li fece”.

Crescita e sviluppo

Bisogna recuperare il senso dell’andare e del tornare come occasione di crescita e di sviluppo. La sfida che sta davanti a tutti noi è questa. Sta davanti al governo e alla Regione. Sta davanti alla Meloni e a Occhiuto. Sta davanti a tutti noi. Perché un governo che spegne un paese alla volta tradisce l’Italia vera e profonda. Una Regione che pensa solo allo spettacolo e all’effimero uccide la Calabria tutta. E noi non lo possiamo accettare.

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