Una ferita profonda, anzi due. È quella inferta al cuore antico di Vibo Valentia, nel centro storico, precisamente in via Terravecchia Superiore ai numeri civici 88 e 90. Qui, nel giro di pochi mesi, si è consumata una doppia distruzione della memoria storica cittadina. La denuncia arriva dalla sezione locale di Italia Nostra, che non usa mezzi termini e parla di una “demolizione inaccettabile prima, un seppellimento di valore archeologico poi”, avvenuti nel silenzio delle istituzioni competenti.
Primo colpo
Primo colpo
“Il primo colpo alla storia della città – afferma il presidente facente funzioni Alessandro Caruso Frezza – è arrivato l’11 febbraio scorso, con l’abbattimento di un edificio di indubbio interesse storico. Una struttura che conservava un portale cinquecentesco, una targa toponomastica in ceramica dipinta a mano dei primi del Novecento e dettagli architettonici che raccontavano la tradizione costruttiva vibonese. Il tutto è stato raso al suolo sulla base di un titolo edilizio che, macroscopicamente, non poteva essere né richiesto né rilasciato”.
“Ancora più sconcertante”, secondo l’associazione, è stata la “totale inerzia” della Soprintendenza e dell’Ufficio urbanistico comunale, “già allertati 15 giorni prima con una richiesta formale di intervento e tutela. Nulla è stato fatto. Eppure – ricorda Italia Nostra – il regolamento vieta nel centro storico ogni forma di ristrutturazione edilizia pesante, ovvero interventi che comportino l’eliminazione completa dell’edificio originario e la costruzione di uno nuovo, completamente diverso per forma e struttura”.
Secondo
La seconda cancellazione della memoria, secondo l’associazione, è avvenuta il 3 luglio, “dopo circa due mesi di sospensione dei lavori. Sotto il sedime dell’edificio demolito, infatti, erano emersi reperti archeologici di notevole importanza. In particolare, tra il 13 e il 17 marzo, durante degli scavi, era affiorata una struttura muraria antica, appartenente a un edificio di circa 8-10 vani, esteso su una superficie di circa 100 mq. Ma, inspiegabilmente, il 18 marzo, senza attendere ulteriori accertamenti, quei muri sono stati ricoperti con terra e sabbia”. Poi, il “colpo finale: una colata di cemento ha definitivamente sigillato ciò che, secondo Italia Nostra e l’Archeoclub Italia – sezione di Vibo Valentia – avrebbe potuto essere una domus romana del I o II secolo d.C”.
A suggerirlo sono i “numerosi frammenti ceramici neri o marroni scuri trovati nella fossa di fondazione di quei muri. Un indizio prezioso, suffragato dalla letteratura scientifica in materia – come gli studi di Sangineto – e da analoghi ritrovamenti avvenuti negli anni ’80 a poche decine di metri di distanza, dove fu scoperta una domus romana risalente allo stesso periodo”.
Per questo motivo, Italia Nostra parla oggi di “doppia cancellazione della memoria storica: prima l’edificio del XVI secolo distrutto l’11 febbraio, poi l’antichissimo insediamento romano ‘cementato per sempre’ il 3 luglio”.
Storia negata
Non basta. Il 19 marzo scorso le due associazioni avevano formalmente chiesto chiarimenti alla Soprintendenza, ma – denunciano – “nessuna risposta è mai arrivata. Così, l’ipotesi che quei resti murari appartenessero in realtà a un edificio rinascimentale e che quindi non avessero rilevanza archeologica, appare debole e non sostenuta da prove. Anzi – sottolinea Italia Nostra – sulla base della pianta di Monsleonis di Bisogni De Gatti del 1710, l’edificio abbattuto l’11 febbraio coincide proprio con quello seicentesco censito nella mappa storica. Inoltre, la presenza di frammenti ceramici romani e resti murari allo stesso livello stratigrafico rende incoerente la tesi che i muri possano appartenere a secoli più recenti, secondo la nota regola archeologica del terminus post quem”.
La storia, insomma, si è vista negare due volte. Una perdita culturale che – con amarezza – Italia Nostra definisce “una doppia cancellazione della memoria storica di Vibo Valentia”, oggi finalmente portata all’attenzione dell’opinione pubblica.