È arrivato in Italia su un barcone, come tanti altri. Era solo un ragazzo, uno dei tanti che attraversano il Mediterraneo con la speranza negli occhi e il dolore nel cuore. Si chiama (o almeno così ha dichiarato) Lasso Traorè, nato nel 1997 in Guinea, Africa equatoriale. Un nome come un altro, una storia tra mille. Ma il destino aveva in serbo per lui una nuova prova, e per fortuna, anche una rete invisibile di umanità pronta a sostenerlo.
Arrivato dalla Libia
Arrivato dalla Libia
Dopo essere passato dalla Libia, dove è stato arrestato e imprigionato – forse finito nelle mani dei torturatori di cui hanno parlato a lungo giornali e TV – Lasso approda a Lampedusa, e poi finisce in Calabria, a San Pietro di Caridà, minuscolo borgo del Reggino al confine col Vibonese. Qui lavora come operaio in una piccola azienda agricola di Gregorio Principato, ex geometra oggi apicoltore per passione. Ed è proprio Gregorio a salvarlo una seconda volta.
Diagnosi tempestiva
“Lo vedevo curvo, sofferente, si teneva l’addome. Era palese che qualcosa non andava”, racconta il Quotidiano del Sud. Lo porta allora dal medico, che consiglia subito il pronto soccorso di Polistena. Qui il dottor Galluzzo capisce immediatamente la gravità: una TAC rivela un tumore al fegato maligno, di oltre 10 centimetri, che sanguina e ha già infiltrato il diaframma, minacciando di farsi strada nel torace. Il ragazzo stava morendo. Non c’era un minuto da perdere.
La corsa in ambulanza
Galluzzo si mette subito in contatto con il Centro Regionale di riferimento per i tumori del fegato, all’Annunziata di Cosenza, diretto dal prof. Bruno Nardo. La risposta non tarda ad arrivare: “Inviate il paziente immediatamente, lo operiamo subito”. Il giorno dopo, un’ambulanza si mette in moto verso Cosenza, Gregorio segue con la sua auto, conta non solo i chilometri ma anche i minuti. Al loro arrivo, Lasso viene accolto con uno spirito fraterno da tutto il reparto di Chirurgia Generale dell’Annunziata: medici, specializzandi, infermieri. Lo trattano come uno di casa, con gesti piccoli e fondamentali: un sorriso, una carezza, un bicchiere d’acqua, un “andrà tutto bene”. In quel reparto, lontano da tutto e da tutti, Lasso non è più solo.
Le mani nella pancia
Poi l’intervento. Complicato, rischiosissimo. Racconta il prof. Nardo: “Avevo le mani nella sua pancia piena di sangue. Pensavo al tempo che scorreva, ogni secondo era prezioso. Dovevamo correre per salvargli la vita. Ma sapevamo che il cuore poteva cedere da un momento all’altro”. Il tumore, grande e aggressivo, stava già colonizzando il torace. Bisognava asportarlo in blocco, con una manovra difficile e ad altissima tensione.
Un sospiro di sollievo
Quando l’intervento è riuscito, grazie all’intero team della sala operatoria – chirurghi, anestesisti, infermieri -, al chirurgo è tornato in mente suo figlio, coetaneo di Lasso, oncologo in formazione all’Istituto Nazionale Tumori di Milano. “Appena ho finito, ho pensato a lui, e ho detto: deve iniziare subito l’immunoterapia! La prognosi dei tumori del fegato che si rompono e disseminato nell’addome non è buona”.
La sofferenza
Ma la storia non finisce in sala operatoria. C’è il giovane collega di lavoro di Lasso, che passa tutta la notte al suo capezzale, dormendo su una sedia, vegliando su di lui. C’è Gregorio, che ogni giorno si fa chilometri per andarlo a trovare, lo riporta a casa dopo le dimissioni, gli compra le medicine (anche se la tessera sanitaria è scaduta). “Tra poco andrà dai parenti a Genova per sistemare le carte. Ma noi lo aspettiamo a braccia aperte”, dice.
La lezione di Gregorio
Tutti si sono detti sorpresi dal comportamento di Gregorio. Ma lui, con umiltà, scuote la testa: “A Polistena e a Cosenza mi hanno fatto i complimenti, ma io non capivo. Pensavo fosse normale fare quello che ho fatto. E lo penso ancora: questa dovrebbe essere la regola, non l’eccezione”. E allora onore a lui. E a tutto il personale dell’Annunziata, che ha saputo dare prova di cosa significhi davvero buona sanità: prontezza, competenza, ma anche accoglienza, calore umano, empatia. In un tempo segnato dalla paura dell’altro e dall’indifferenza, la storia di Lasso è un faro acceso. Una lezione di coraggio e fraternità. E una promessa: nessuno, se possiamo evitarlo, sarà lasciato solo.