La Cassazione: è legittimo licenziare un dipendente che insulta il capo

I giudici lo affermano in una sentenza relativa alla vicenda di una donna di Acireale che ha utilizzato parole ingiuriose nei confronti di un suo superiore

Per la Corte di Cassazione è legittimo il licenziamento di un dipendente che insulta il proprio capo davanti ad un collega.

La Suprema Corte lo afferma in una sentenza relativa alla vicenda di una donna di Acireale che ha utilizzato parole ingiuriose nei confronti di un suo superiore e per questo licenziata per giusta causa. La Cassazione – come si legge sul quotidiano ‘Il Messaggero’ – ha fatto sue le conclusioni a cui erano giunti anche i giudici della Corte d’Appello di Catania che avevano qualificato di “notevole gravità” le condotte della dipendente che si era rivolta al suo superiore utilizzando “un epiteto volgare, in un contesto di dissenso rispetto ad una direttiva impartita, ritenendo tale espressione indice di insubordinazione”.

La Suprema Corte lo afferma in una sentenza relativa alla vicenda di una donna di Acireale che ha utilizzato parole ingiuriose nei confronti di un suo superiore e per questo licenziata per giusta causa. La Cassazione – come si legge sul quotidiano ‘Il Messaggero’ – ha fatto sue le conclusioni a cui erano giunti anche i giudici della Corte d’Appello di Catania che avevano qualificato di “notevole gravità” le condotte della dipendente che si era rivolta al suo superiore utilizzando “un epiteto volgare, in un contesto di dissenso rispetto ad una direttiva impartita, ritenendo tale espressione indice di insubordinazione”.

Tutto questo in presenza di una collega dimostrando così “un atteggiamento di sfida e disprezzo verso l’autorità”, scrivono gli ermellini nella sentenza depositata il 25 luglio scorso. La vicenda risale al 2018. La Corte d’Appello di Catania, nella sentenza del 2023, “ha valutato la gravità intrinseca dell’epiteto non come ‘alterco o diverbio” ma come una vera e propria insubordinazione “specie considerando il contesto in cui è stato pronunciato, ossia in presenza di un’altra dipendente “che ne accentua la gravità e la platealità”. (Ansa)

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