Con una nota indirizzata alla stampa, la famiglia Paparo ha deciso di rompere il silenzio e replicare alle accuse che sono state mosse nei loro confronti in merito all’omicidio di Filippo Verterame, di 22 anni, morto al termine di una tragica rissa davanti al lido che il giovane gestiva con la famiglia a Isola Capo Rizzuto, nel Crotonese. Giuseppe Paparo, di 39 anni, ha ammesso le proprie responsabilità, facendo trovare anche l’arma del delitto.
Nessuna rivalità
Nessuna rivalità
“Precisiamo – scrive la famiglia Paparo – che non vogliamo che venga alimentata o ribadita la presunta ‘rivalità tra famiglie’, in quanto ciò non corrisponde al vero, e gradiremmo una trascrizione corretta delle nostre parole. La nostra famiglia ha tutto il diritto di difendersi da accuse e calunnie che non corrispondono alla verità. Siamo addolorati come tutti: fa male pensare che un ragazzo di soli 22 anni non ci sia più. Da genitori comprendiamo il dolore immenso”.
Rispetto per il dolore
Il nucleo familiare spiega di avere scelto di attendere prima di intervenire pubblicamente “nel massimo rispetto del lutto e del dolore, lasciando che si celebrassero i funerali in un clima di raccoglimento e silenzio. Non abbiamo mai dato adito a provocazioni o calunnie – aggiungono – siamo sempre stati, e saremo sempre, persone pacifiche e disponibili verso gli altri. Non siamo solo noi a dirlo: l’intero paese conosce tutti i protagonisti di questa tragica vicenda. Da sempre siamo stati pacifici e discreti, e il male ci ha raggiunti fin dentro casa nostra”.
Il lavoro degli inquirenti
La famiglia rivendica la necessità che a stabilire le responsabilità sia solo la magistratura: “Per le colpe e le dinamiche di quanto accaduto c’è la giustizia: sarà lei a chiarire e a stabilire chi e come dovrà pagare. Siamo disponibili a qualsiasi confronto davanti alla giustizia, terrena e divina. Facciamo tutti la cosa giusta: preghiamo perché giustizia sia fatta”.
Le puntualizzazioni
Non mancano precisazioni su quanto emerso nelle ultime settimane: “È stato detto di non associare Filippo allo ‘stile di vita’ di chi lo ha aggredito, facendo intendere che si trattasse di delinquenti e approfittatori. Ma qualcuno si è preso il tempo di verificare? Parliamo di persone che non hanno mai avuto problemi con la legge: mai una denuncia, mai una rissa, mai arrecato fastidio a nessuno. Persone rispettate, oneste, lavoratori, in alcuni casi emigrati. Etichette del genere sono ingiuste e offensive”.
Presunti soprusi
Altro passaggio tocca il tema dei presunti ‘soprusi da quattro generazioni’: “Si è parlato anche di ‘soprusi da quattro generazioni’, come se la nostra famiglia avesse da sempre comandato sul mare e sulle spiagge delle Le Cannella. La verità è che quelle generazioni passate risalgono agli anni Sessanta, quando Paparo Antonio senior – uomo stimato e rispettato – costruì le abitazioni in cui oggi vivono figli e nipoti. Erano anni in cui non esistevano le normative edilizie di oggi (la legge Galasso è del 1985) e quindi nessuno parlava di licenze. Abusivismo che non siamo mai riusciti a condonare per via delle leggi sul demanio. Abusivismo ‘a vostro dire’, che non può essere oggi usato come un’arma per colpevolizzare la nostra famiglia. Se abusivismo c’è stato, riguarda semmai costruzioni ben più recenti, non certo quelle di sessant’anni fa. Lasciamo dunque in pace chi non c’è più”.
La replica affronta anche un altro tema: “La parola ‘prepotenza’ – ‘qui comando io’ – è stata usata proprio da chi oggi ci accusa. È ingiusto ribaltare la realtà. Chi ci calunnia e ci diffama dimostri come e quando la famiglia Paparo abbia avuto comportamenti scorretti o prepotenti. Chi ci calunnia ha avuto da noi acqua, luce e tanta disponibilità, nel rispetto di chi lavora e nel bene fraterno che ci legava”.
In conclusione, la famiglia Paparo lancia un appello: “Smettiamola di spostare l’attenzione su storie e accuse che non hanno nulla a che vedere con quello che è accaduto il 19 agosto. Quella è stata una tragedia: un ragazzo è morto, e la sua memoria dovrebbe essere onorata nel rispetto, non infangando altre famiglie. A fare da epilogo, una tragica fatalità certamente non voluta dalla nostra famiglia. Una tragedia che forse si poteva evitare se i cosiddetti ‘grandi’, invece di alimentare lo scontro, avessero cercato di calmare gli animi. Ce l’hanno sulla coscienza loro: i grandi. E non esiste condanna più dura del vivere con i sensi di colpa”.