Vertenza Don Mottola di Drapia: non si muove foglia. Impegni, promesse, garanzie messi in campo dai piani alti di Asp e Prefettura ancora una volta segnano il passo a chiaro discapito di sessanta dipendenti, che vedono il loro posto di lavoro sempre più a rischio, e di tanti pazienti e loro familiari costretti a pagarsi le cure cui avrebbero diritto gratuitamente. Una storia amara, triste, inconcepibile e, soprattutto, inaccettabile. Una storia che ormai si trascina da anni e che i livelli istituzionali si palleggiano senza pudore a dispregio degli interessi della comunità, ma anche una storia che fa riflettere e che, rileggendola da diversa angolazione, lascia emergere aspetti meritevoli di seria attenzione.
Aspetti inquietanti
Aspetti inquietanti
Aspetti per certi versi inquietanti che, in particolare, riflettono ombre su un componente della commissione straordinaria e su un dirigente apicale dell’Asp. Persone entrambe competenti e capaci, ma che, ricoprendo incarichi delicati a livello regionale, si attestano su evidenti posizioni di conflitto di interessi con ricadute pesanti sulla sanità di questo martoriato territorio. Non a caso, probabilmente, non avrebbe avuto ancora alcuna risposta la lettera inviata all’allora commissario regionale della Sanità per sollecitare più fondi per l’Asp di Vibo. Non a caso si è ancora in attesa, da circa sedici mesi, del Piano di programmazione della sanità territoriale la cui mancata pubblicazione potrebbe cancellare gli ultimi avamposti sanitari nel Vibonese.
Impegni e promesse, solo parole
Riavvolgiamo il nastro degli ultimi eventi. Di fronte a ritardi e inadempienze accumulatisi nella vertenza che li vede bistrattati protagonisti di una battaglia per la tutela del diritto alla salute e del diritto al lavoro, dipendenti e caregiver del ‘Medical Center Don Mottola’ di Drapia, la mattina dello scorso 25 settembre, erano tornati davanti ai cancelli d’ingresso dell’Asp intenzionati a far valere le loro ragioni. Si era, però, in piena campagna elettorale per le elezioni regionali, l’ ‘establishment’ politico-istituzionale non voleva rogne tra i piedi e, un po’ a sorpresa, Asp e Prefettura aprivano le loro porte alla delegazione del Comitato caregiver e lavoratori del Don Mottola inondando i suoi componenti di impegni e promesse, a condizione che se ne tornassero a casa tranquilli. Tutto si sarebbe dovuto risolvere velocemente e l’Asp avrebbe pubblicato immediatamente il Piano aziendale della programmazione territoriale propedeutico alla soluzione di ogni problema. Però, basta sit-in!
Lavoratori traditi
Lavoratori e caregiver, ancora una volta riponevano fiducia nei rappresentanti dello Stato, ma, ancora una volta, si ritrovano con un pugno di mosche in mano. A distanza di quasi un mese, tutto è ancora fermo e del Piano territoriale non c’è traccia. La commissione straordinaria dell’Asp tace, la Prefettura resta alla finestra, la delusione dei lavoratori appare foriera di tempesta.
Quel filo sottile che lega gli eventi
Analizzando il tutto, traspare un filo sottile, ma resistente, che lega la rimozione del prefetto Piscitelli alla crisi cronica della sanità vibonese. È il filo della politica che resiste al cambiamento, della burocrazia che si piega al potere, di un territorio che, ancora una volta, paga il prezzo più alto: quello della salute negata. Il prefetto Piscitelli, insediatosi come commissario, trovava davanti a sé un deserto amministrativo: direzioni vacanti, dipartimenti smantellati, personale decimato e una macchina burocratica incapace di garantire persino i livelli essenziali di assistenza. Eppure, in pochi mesi, qualcosa si muoveva.
Il ruolo di Piscitelli
Piscitelli era riuscito, in qualche misura, a ricostruire una tecnostruttura; aveva recuperato risorse sottratte al territorio, rilanciato i concorsi per le figure apicali, restituito un senso di direzione all’azienda. Per la prima volta dopo anni, i vibonesi intravedevano la possibilità di una sanità normale, di un sistema capace di curare, invece di contare i debiti. Ma quella stagione di riscatto durava poco. Quando l’Asp smetteva di essere il “salvadanaio regionale” e iniziava a pretendere risorse per sé, la macchina politica adottava la filosofia gattopardesca: cambiava per non cambiare. Piscitelli faceva le valigie e l’Asp ritrovava le sue catene. Sulla sua rimozione calava subito il silenzio. Nessuno aveva il coraggio di chiedere il perché.
I doppi incarichi un vulnus giuridico
I segnali del ritorno al passato sono inequivocabili. Mentre gli ospedali chiudono reparti e i cittadini si arrangiano tra liste d’attesa e spese private, c’è da prendere atto – ma, forse, andava, fatto anche prima – che due esponenti dell’Asp ricoprono, contemporaneamente, ruoli operativi nella struttura regionale. In pratica, chi dovrebbe difendere gli interessi sanitari di Vibo siede anche nei tavoli dove si decidono i tagli e la distribuzione dei fondi. Un intreccio pericoloso che trasforma la gestione sanitaria in un conflitto d’interessi permanente. Non è solo una questione di etica pubblica: è un vulnus giuridico, perché la legge 241/1990 e gli articoli 97 e 98 della Costituzione parlano chiaro. Chi amministra non può essere giudice e parte, controllore e controllato. Il risultato è una programmazione sanitaria distorta e opaca: fondi spostati, reparti fantasma, progetti annunciati e mai realizzati. Dietro la facciata si nasconde la solita dinamica: risorse che evaporano e un territorio che resta senza risposte.
La sanità ridotta all’osso
Oggi l’Asp di Vibo è profondamente lontana da quanto programmato nella rete ospedaliera e territoriale. I reparti di psichiatria, ortopedia, lungodegenza e urologia sono chiusi o sotto organico. Le Cot – le Centrali operative territoriali previste per rafforzare l’assistenza di prossimità – non sono mai entrate a regime e vengono smantellate per la carenza di personale. La mobilità passiva supera i 60 milioni di euro l’anno: vibonesi che si curano altrove, pagando il prezzo di una sanità che non c’è. Eppure, i conti dell’ASP oscillano, misteriosamente, da un deficit di 32 milioni a un recupero improvviso di 24. Una schizofrenia contabile che non ha riscontro nei servizi, ma solo nei bilanci.
Un territorio in bilico
Le due prospettive – quella dell’addio del prefetto e quella sui conflitti d’interesse – raccontano la stessa storia da due angoli diversi: quella di un territorio sospeso tra risanamento e ricaduta, tra legalità e ritorno al passato. Il primo rappresenta il tentativo di ricostruire, il secondo la fotografia di un sistema che si autoprotegge, anche a costo di sacrificare il bene più prezioso: la salute pubblica.
Il diritto alla salute un privilegio
Nel Vibonese, oggi, il diritto alla salute è diventato un privilegio. Un diritto che la Costituzione tutela sulla carta, ma che la realtà amministrativa nega nei fatti. Dietro le carte e i decreti ci sono pazienti oncologici, cronici, anziani soli, famiglie che viaggiano per centinaia di chilometri per un ricovero. E’ l’ora di cambiare registro! Non si chiedono miracoli, ma trasparenza e responsabilità. Si chiede che chi gestisce la sanità vibonese risponda al territorio, non ai salotti regionali. Che le risorse destinate a Vibo restino a Vibo. Che i cittadini tornino a fidarsi di un sistema che, per troppo tempo, li ha traditi e che, in mancanza del Piano di programmazione territoriale con conseguente non assegnazione di fondi, potrebbe farli sprofondare. La malattia più grave, oggi, non è solo quella che si cura in ospedale, ma anche quella che corrode la credibilità delle istituzioni.