Un grido che non è solo personale, ma collettivo. Uno sfogo amaro che racconta, meglio di tanti dossier, la condizione reale in cui versano i cittadini che ogni giorno si scontrano con un sistema sanitario inceppato, lento, a volte disumano. È quello di Filippo Donato, storico edicolante di Sant’Onofrio, nel Vibonese, che da giorni lotta con dolori lancinanti dopo una brutta caduta avvenuta proprio sul luogo di lavoro.
Un’attesa di quattro mesi
Un’attesa di quattro mesi
“Sono caduto qui in edicola – racconta con la voce rotta dalla rabbia – ho sbattuto una costola al water e sono finito pesantemente a terra. Ai raggi mi hanno trovato una costola rotta, due vertebre inclinate e una vertebra schiacciata. Mi hanno detto che devo fare una visita fisiatrica. E sapete quando me la danno? A marzo. Fra quattro mesi. E nel frattempo? Devo restare così, con la schiena a pezzi?”
Dolore e rassegnazione
La sua non è una protesta isolata. È l’ennesima fotografia di un sistema in cui le liste d’attesa si allungano oltre i limiti dell’accettabile, trasformando un diritto – quello alla cura – in una lotteria. E chi non può permettersi il privato, resta intrappolato in un limbo fatto di dolore e rassegnazione. Donato, invece, rassegnato non vuole esserlo. La sua voce è quella di un lavoratore che, pur ferito, continua ad aprire ogni giorno la sua edicola. Ma lo fa tra spasmi, limitazioni e la sensazione di essere stato abbandonato da chi dovrebbe garantire assistenza e dignità. “Qui non è una questione politica – sbotta – è una questione di umanità. Io ho bisogno adesso. Non a marzo”.
Carenze strutturali
Il caso riapre la discussione sulle carenze strutturali della sanità territoriale, sui ritardi cronici delle visite specialistiche, sulle falle che costringono i cittadini a vivere nell’incertezza. Perché una vertebra inclinata non aspetta, una costola rotta non aspetta, il dolore non aspetta. Quello di Filippo Donato è uno sfogo. Ma anche un monito. Un richiamo forte, diretto, che dovrebbe scuotere chi ha la responsabilità di intervenire. Perché dietro ogni numero, dietro ogni statistica, ci sono persone reali. Persone che soffrono, lavorano, resistono. E che meritano risposte, non attese infinite.


