C’è un limite oltre il quale non è più possibile far finta di niente. E il presidente-commissario Roberto Occhiuto quel limite lo ha superato quando, invece di presentarsi in Prefettura a Vibo Valentia per affrontare la più grave crisi sanitaria che questo territorio ricordi, ha deciso di parlare dai social, rivolgendosi a sindaci, associazioni e persino ai cittadini che chiedono ciò che in qualunque democrazia avanzata è minimo sindacabile: il diritto alla cura.
La porta in faccia
La porta in faccia
Il suo “E poi basta…” è suonato come una porta sbattuta in faccia a un territorio già stremato. “Basta con le strumentalizzazioni”, dice. Ma quale strumentalizzazione? Famiglie, comitati, volontari, medici, sindaci: non c’era un candidato in cerca di applausi, c’erano persone che vedono la sanità crollare ogni giorno. I pronto soccorso al collasso, i reparti chiusi, i bambini che devono fare chilometri per una visita, gli anziani lasciati in fila come fossero numeri, non esseri umani. Occhiuto rivendica di lavorare “duramente”, ci mancherebbe. Ma l’idea che chi protesta lo faccia per “costruirsi carriere politiche” è un’offesa, prima ancora che una mistificazione. È lo sguardo di chi non ha compreso – o non vuole comprendere – la profondità del dolore che attraversa questa provincia.
Una reazione scomposta
Assente al tavolo, presente su Facebook. Questo è il punto. Non la sostituzione legittima del sub-commissario Esposito, ma la scelta comunicativa di trasformare una crisi drammatica in una sfida personale. In un monologo. In un rimprovero. E allora come leggere quelle parole? Spocchia? Arroganza? Debolezza? Forse un pò di tutto. Sicuramente la reazione di chi non tollera di essere messo davanti alle evidenze: che la sanità vibonese sta crollando e che non bastano i video a rimetterla in piedi.
Credibilità offuscata
“Ho affrontato 70 problemi in 7 ore”, dice. Ma uno, centrale, lo ha mancato: la credibilità. Perché la forza di un commissario non si misura dai video pubblicati, ma dalla capacità di guardare in faccia i territori quando soffrono. Qui non servono sermoni. Qui serve presenza. Qui serve rispetto. Qui serve verità. E soprattutto: qui serve che nessuno dica più “E poi basta!”. Perché per Vibo Valentia, purtroppo, non è affatto finita. È tutto ancora da ricostruire.
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