Il dibattito nazionale sulla separazione delle carriere dei magistrati continua a occupare pagine, talk show e tavoli politici. Pubblici ministeri e giudici su percorsi distinti, ruoli più netti, garanzie di indipendenza reciproca: una riforma che, secondo i sostenitori, dovrebbe rafforzare la fiducia dei cittadini nella giustizia. Ma la fiducia non si misura nei convegni, bensì nei tribunali. E soprattutto nei tempi.
Decisione che fa discutere
Decisione che fa discutere
A Vibo Valentia, un’udienza davanti al giudice di pace – ambito che riguarda la vita ordinaria delle persone, i piccoli contenziosi, le liti di vicinato, le controversie civili di tutti i giorni – viene rinviata al 14 settembre 2028. Non mesi, non un anno. Tre anni. È qui che il dibattito sulle carriere separate si svuota di significato. Viene percepito come ridicolo, perché poco importa chi accusa e chi giudica, se lo Stato non è in grado di dare una risposta in tempi ragionevoli.
Quando la giustizia è in ritardo
Quando la giustizia arriva dopo anni, non è più giustizia: è un atto formale, spesso inutile, talvolta dannoso. Il giudice di pace dovrebbe rappresentare la giustizia di prossimità, quella più vicina ai cittadini, quella che dovrebbe risolvere rapidamente conflitti che incidono sulla quotidianità. Invece diventa il simbolo di un sistema paralizzato, incapace di garantire diritti minimi.
Organici ridotti e niente investimenti
In questo contesto, ogni riforma strutturale rischia di apparire scollegata dalla realtà. Senza organici adeguati, senza investimenti seri, senza una gestione efficiente degli uffici giudiziari, la separazione delle carriere resta una risposta astratta.


