A Vibo Valentia, come in Calabria e in molte parti del Paese, si protesta spesso. Si protesta per il lavoro che manca, per le stabilizzazioni che non arrivano, contro la ’ndrangheta e le mafie, per affermare – giustamente – il principio della legalità. Ma c’è un terreno sul quale l’indignazione si spegne, e il coraggio si fa improvvisamente timido: quello della sanità.
Il coraggio selettivo delle piazze
Il coraggio selettivo delle piazze
Si marcia senza esitazioni per stare accanto alle forze dell’ordine, si riempiono le strade per sostenere magistrati che combattono la criminalità organizzata, si pronuncia con forza la parola ’ndrangheta. Tutto sacrosanto. Ma quando si tratta di difendere il diritto alle cure, di denunciare ospedali svuotati, reparti chiusi, liste d’attesa infinite, allora no. Allora il territorio si ritrae. Eppure il disastro sanitario non è meno grave, né meno violento. Colpisce i più fragili, gli anziani, i malati cronici, chi non ha voce. È una ferita quotidiana, silenziosa, che non fa titoli roboanti ma consuma dignità e diritti.
La manifestazione ignorata
Lo si è visto chiaramente alla recente manifestazione di Vibo Valentia, promossa da comitati civici e associazioni, culminata con la presentazione di denunce querela ai Carabinieri. Un atto forte, raro, unico, coraggioso. Eppure, accanto a quei cittadini, mancava l’“esercito” delle associazioni che abitualmente affollano il Forum del terzo settore. Assenti. Invisibili. Rimaste comodamente a casa. Perché? Scatole vuote o ancora più grave è prevalsa la paura di metterci la faccia? Timore di disturbare equilibri delicati? O semplice convenienza?
La sanità dei favori
C’è una verità scomoda che in pochi vogliono ammettere: da queste parti la sanità spesso non è un diritto, ma una relazione. Funziona se conosci qualcuno, se puoi chiamare il politico di turno, il medico “amico”, il contatto giusto in pronto soccorso. Altrimenti rischi di restare ore su una barella, su una sedia, nell’indifferenza. Questo sistema fa comodo a molti. Fa comodo al politico che “intercede”, al medico che visita fuori orario, al meccanismo clientelare che si nutre di riconoscenza e silenzi. Ma fa malissimo ai cittadini onesti, a chi non ha santi in paradiso, a chi crede che la salute non debba essere barattata.
Il diritto che non fa rumore
La sanità non mobilita perché smaschera ipocrisie profonde. Perché costringe a guardarsi allo specchio. Perché mette in discussione un sistema di potere che non si regge sulla violenza mafiosa, ma sull’assuefazione, sulla dipendenza, sull’indifferenza. E così accade l’impensabile: un territorio capace di indignarsi contro la criminalità organizzata rinuncia a difendere i propri diritti fondamentali. Accetta che le cure diventino dominio della politica e, sempre più spesso, del privato.
Finché non si avrà il coraggio di scendere in piazza anche per la salute, con la stessa forza con cui si invoca la legalità, questa terra continuerà a perdere pezzi. Perché non c’è legalità senza diritti, e non c’è diritto più elementare di quello a curarsi.


