Ha parlato per ore il pentito della ’ndrangheta Vibonese Angiolino Servello. Davanti ai giudici del Tribunale di Ravenna, in qualità di testimone nel processo scaturito dall’operazione che i magistrati della Distrettuale antimafia di Bologna hanno definito Radici, ha raccontato tutti gli intrecci sull’asse tra Vibonese-Piana di Gioia Tauro e la Riviera Romagnola. Nel corso della sua testimonianza Servello ha ammesso quanto in precedenza raccontato ai magistrati durante le sue deposizioni: <Qui si comprava di tutto e non si pagava nulla>.
L’obiettivo del pm della Distrettuale nel processo in corso è quello di dimostrare che i ventiquattro indagati agivano soprattutto per conto delle cosche, e in questo caso non solo dei Mancuso di Limbadi, ma anche dei Bonavota di Sant’Onofrio e dei Piromalli di Gioia Tauro. Il collaboratore di giustizia ha quindi indicato Francesco Patamia e il figlio Rocco come la lunga manus della potente cosca della Piana, mentre Saverio Serra e Giovanni Muschella rappresentavano negli affari i clan del Vibonese.
Secondo quanto confermato in aula dal vecchio collaboratore di giustizia alcuni degli indagati minacciavano, estorcevano denaro, riciclavano, compravano ristoranti, alberghi, bar e pasticcerie tra Cesenatico e Cervia; poi li facevano fallire.
Un giro di affari nelle mani dei boss che seguivano le operazioni passo dopo passo tramite i loro uomini in Riviera. Importante il ruolo di Angiolino Servello, che ha gestito per i compari calabresi grossi quantitativi di droga , così come riforniva di frutta tutti i locali della zona. Frutta che naturalmente arrivava nella filiera di Servello ma non veniva pagata.
Angiolino Servello è diventato un collaboratore di giustizia nel 2005. Nelle varie inchieste antimafia ha fornito informazioni importanti sui clan coinvolti in attività illegali. Nel 2017, le sue dichiarazioni sono state acquisite nell’inchiesta “Costa pulita”, che ha coinvolto i clan Mancuso di Limbadi, Il Grande di Parghelia e Accorinti di Briatico.
Ha rivelato retroscena su fatti criminali nel Vibonese, inclusi omicidi e traffico di droga. Nel 2019, Angiolino Servello è stato condannato a sette anni e otto mesi di reclusione per associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico e spaccio di sostanze stupefacenti.
Clamorose le sue dichiarazioni nel 2005, Servello si è autoaccusato della strage di Pizzinni del 1982, ma non è mai stato processato nonostante un lungo verbale acquisito nell’ambito di un altro processo contro il clan Mancuso di Limbadi.