“Un cambiamento c’è stato, sì. Ma a scapito della Città e della memoria di Luigi Razza”. Pietro Comito, Presidente del Circolo Indipendenza Piscopio, affida a un comunicato denso di amarezza e ironia tagliente una riflessione che è prima di tutto un’accusa: l’amministrazione comunale avrebbe rimosso senza spiegazioni l’opera che ritrae l’illustre vibonese ed ex ministro dei Lavori Pubblici, relegandola – a quanto pare – in una stanza qualunque. “Trattamento indegno”, lo definisce.
“Assisto quotidianamente, incredulo ed attonito, alle vicende che contraddistinguono l’amministrazione comunale in carica – scrive Comito – vicende quest’ultime di tutt’altra natura tranne che politica: non si tira di scherma né di fioretto, comunque si gioca ed ancor peggio ci si gioca della Città e del territorio”.
Una denuncia dai toni forti, che si fa anche sarcastica quando descrive “un vecchio dinosauro, ieri sindacalista ed oggi tra le stelle, non ancora estinto, [che] vaga nei corridoi del Palazzo alla ricerca di esperto biomedico che estragga il DNA funzionale all’avvicendarsi di un clone”.
Secondo il presidente del Circolo Indipendenza, le promesse elettorali sono evaporate: “Il reclutamento dell’elettorato, dunque del consenso, confortato dal cambiamento e dalla svolta epocale che Rocco e suoi fratelli avrebbero impresso all’Urbe si è sciolto come neve al sole”.
Poi, il racconto diretto. Pietro Comito si dice da sempre vicino alle esigenze dei suoi compaesani piscopisani, “frequentemente mi reco in Comune per il disbrigo della qualsiasi, compiacendomi del saluto e della vicinanza incondizionata di dipendenti di prim’ordine ed amici affettuosi”.
È in una di queste occasioni che nota la sparizione del ritratto di Luigi Razza dalla Sala Giunta. “Realizzo la mancanza da una parete di essa, dell’opera del Maestro Saverio Di Francia raffigurante l’illustre cittadino Vibonese, nonché Ministro dei Lavori Pubblici Luigi Razza”.
Comito racconta di essersi allora diretto verso la Sala del Consiglio, sperando che l’opera fosse stata finalmente spostata in un luogo più consono: “Convinto di trovarlo in detto sito. Nulla di tutto questo. Mi son guardato in giro, ho sbirciato in qualche ufficio senza successo”.
Poi, il dettaglio quasi surreale: “Una bianca colomba mi sussurra che il quadro di Luigi Razza trovasi allocato nella stanza di un vecchio nostalgico, guardandosi bene dal rivelarmene il nome”.
“Ecco, tutto è compiuto, cambiamento compreso – commenta amaramente – a scapito della Città e di Luigi Razza, a cui sono a questo punto tributate le colpe di essere vibonese, di aver lasciato traccia nella Città in luogo del suo ruolo di Ministro, di aver generato l’embrione della Provincia, peccato per Lui che tutto ciò sia accaduto durante l’epopea fascista”.
Ironia amara, quella di Comito, che prosegue: “La genialata rimozione del quadro da parte del genio pioniere avrebbe dovuto contestualmente dar seguito ad altre azioni: il cambio del nome ad una delle più importanti strade vibonesi, allo Stadio, all’Aeroporto Militare, al Palazzo Municipale, all’abbattimento del busto che nel suo androne campeggia e, dulcis in fundo, alla distruzione dell’obelisco in Piazza San Leoluca, da radere al suolo senza colpo ferire”.
Ma non è un discorso di nostalgia, chiarisce subito: “Non è nostalgia, né ricordo, né frustrazione, solamente condanna al gesto. Onore e riconoscenza a colui che fece vivere alla Città di Vibo Valentia un periodo storico tutt’altro che infausto, giammai nostro malgrado, meglio rivissuto”.
Una riflessione dura, senza sconti, che si conclude con un monito ben preciso: “Una figura, la qualsiasi, anche degna del peggior Che Guevara, qualora avesse dato lustro alla sua Città natale, sempre e dico sempre, ad imperituro ricordo, avrebbe dovuto trovare degna collocazione anziché indegna rimozione”.