Era un turno come tanti, di quelli che iniziano in silenzio e finiscono, spesso, con la stanchezza e un sorriso di cortesia all’ultimo paziente. Ma nella notte di Cittanova, nel cuore dell’Asp di Reggio Calabria, la routine si è spezzata in violenza: una giovane dottoressa è stata aggredita mentre prestava servizio nella sede di continuità assistenziale.
Curare diventa pericoloso
Curare diventa pericoloso
Un episodio grave, l’ennesimo di una lunga scia che attraversa l’Italia e che racconta di un sistema in cui curare può diventare pericoloso. “Un crimine inaudito – scrive la Federazione Italiana Medici di Medicina Generale di Reggio Calabria – un attacco non solo a una collega, ma a tutti coloro che ogni giorno dedicano la propria vita alla salute dei cittadini, spesso in condizioni di stanchezza e stress”. La Fimmg parla con voce ferma, di indignazione e di rabbia composta: “Una postazione di continuità assistenziale non può essere una terra di frontiera dove il personale sanitario opera sotto la minaccia della violenza”.
Servono misure immediate
Dietro quelle parole c’è la paura concreta di chi, di notte, lavora da solo in ambulatori isolati, spesso senza vigilanza, con porte che si aprono su volti sconosciuti e, talvolta, aggressivi. È il lato oscuro di una professione che dovrebbe essere solo dedizione e cura, e che invece, troppo spesso, si trasforma in rischio. La Federazione chiede misure immediate e concrete: “Serve l’applicazione rigorosa e senza sconti delle pene previste per chi aggredisce il personale sanitario – si legge nella nota – affinché la certezza della pena diventi un deterrente reale”. Ma non basta. La richiesta è anche quella di “protocolli operativi efficaci per proteggere medici e operatori durante l’espletamento delle funzioni, soprattutto in contesti ad alta tensione emotiva”.
Solidarietà unanime
La solidarietà alla giovane dottoressa arriva unanime, ma la rabbia resta. Perché ogni aggressione lascia una ferita che non si rimargina. “La Fimmg – conclude la nota – è al fianco dell’Ordine dei Medici per ogni iniziativa utile a restituire dignità e sicurezza a chi ogni giorno serve la collettività”. E mentre le parole si moltiplicano, una domanda si impone: quanto ancora dovranno resistere in solitudine i medici di frontiera della sanità pubblica, prima che qualcuno li protegga davvero?
