Assistenza negata: davanti alla Prefettura, sotto la pioggia, con i bambini nel cuore (video)

Assistenza negata: davanti alla Prefettura, sotto la pioggia, con i bambini nel cuore (video)

La Casa della Carità e intere famiglie si uniscono al grido del Vibonese: ora politica e istituzioni ascoltino chi non ha voce, qui ci sono di mezzo l'assistenza, le cure e la dignità dei bambini

Davanti alla Prefettura di Vibo, c’è un’umanità composta e ostinata. Ci sono i sindaci, i comitati, i cittadini. E poi ci sono loro: gli operatori, i genitori, i volontari della Casa della Carità, una delle istituzioni simbolo della provincia, guidata da Giuseppe Lo Gatto. Sono lì non per protestare in senso stretto, ma per presenziare, per far vedere che esistono, che esistono le loro famiglie, i loro bambini, i loro ragazzi che senza quei percorsi riabilitativi non avrebbero alternative. Una delegazione in silenzio, mentre dentro la Prefettura si discute – ancora una volta – del disastro della sanità vibonese.

Una storia che parte da lontano

Una storia che parte da lontano

Lo Gatto, con la calma e la profondità di chi porta sulle spalle una grande responsabilità, ricorda una data che per Vibo non è un appunto d’archivio, ma una radice: 12 luglio 1956. In quel giorno, don Francesco Mottola, circondato dalle sue Oblate, apriva le porte ai primi tredici bambini. Bambini “raccolti”, dice Lo Gatto, nei paesi del Vibonese, perché le famiglie, pur nell’amore, non potevano garantire loro una vita dignitosa. A loro veniva assicurato ciò che è essenziale: un letto, un pasto, pulizia, gioco, affetto. Poi arrivò la scuola, perché molte oblate erano maestre. Arrivò un ortopedico da Brindisi, che portò alcune religiose a formarsi nella riabilitazione. Nacque così un modello che oggi chiameremmo multidisciplinare, ma che allora era semplicemente visione.

Una comunità che cura

Oggi la Casa della Carità accoglie circa 300 pazienti, in gran parte bambini e ragazzi: neuropsichiatria infantile, fisiatria, psicoterapia, psicopedagogia, logopedia, interventi sull’autonomia e sull’apprendimento. È un microcosmo di competenze che colma i vuoti di un territorio intero. Il meccanismo è semplice e terribilmente fragile: l’Asp assegna i pazienti solo quando si libera un posto; i bambini in attesa restano sospesi nelle liste, senza percorsi alternativi. E quando un posto si libera, la Casa chiama, accoglie, costruisce un programma semestrale. Lo ripete, e lo ripete ancora.

Undici anni con Marco

“Ci sono casi – racconta Lo Gatto – come quello di Marco, che la struttura segue da undici anni. O quelli di ragazzi diventati adulti, arrivati da neonati. Poi c’è la parte più dura: “Le mamme ci dicono: se lo mandate a casa, non avrà un motivo per uscire”. È un grido che non riguarda la sanità. Riguarda l’assenza del sociale, dell’inclusione, delle comunità educanti, dei servizi territoriali. “Noi curiamo, ma non possiamo sostituirci alla politica”, dice quasi sconfortato. Quella che Lo Gatto restituisce oggi davanti alla Prefettura non è solo una storia. È un atto d’accusa gentile.

La struttura non regge più

La Casa della Carità è cresciuta, si è reinventata, ha formato personale che la Regione non forma, ha dato speranza a famiglie che non trovano altrove nulla. Ma la struttura da sola non può più reggere: “Possiamo spiegare i problemi – dice – ma se dobbiamo indicare anche le soluzioni, allora la politica ha fallito”. E ancora: “Chiediamo attenzione, risposte, risorse. Non per noi. Per chi non può parlare per sé”.

Davanti alla Prefettura, insieme

Mentre dentro si discute di atti aziendali, di tetti di spesa, di decreti commissariali, fuori c’è una comunità che da anni supplisce a ciò che il sistema non garantisce: le famiglie senza assistenza, i bambini senza terapie, gli adulti senza percorsi, i sindaci spesso impotenti, qualche medico stremato, i direttori delle strutture accreditate lasciati soli, pochi cittadini ormai sfiduciati. E nella folla, c’è la Casa della Carità. Una casa che continua a essere carità, nel senso più alto e più laico del termine: prendersi cura quando lo Stato non lo fa.

Vibo non può più aspettare

L’emergenza sanitaria vibonese non è un titolo, non è una polemica, non è una protesta episodica. È una storia di bambini, di anziani, di famiglie. È una storia di persone che, se lasciate senza sostegno, non hanno alternative. Lo Gatto lo dice con la dolcezza che rende tutto ancora più grave: “Se dimettiamo un bambino senza un servizio alternativo, per lui non c’è altro”. Davanti alla Prefettura, non c’erano solo dei manifestanti. C’era un territorio intero che chiedeva dignità.

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