Caduti in servizio: la tragedia di Castel D’Azzano e il silenzio spezzato di tre carabinieri

Un’esplosione improvvisa, una missione di routine che diventa incubo. Tre uomini dell’Arma muoiono facendo ciò per cui avevano giurato: proteggere la vita degli altri

Il rumore della sirena, il lampeggiante che fende l’aria del mattino, l’ordine di servizio che sembra uno dei tanti. A Castel D’Azzano, in provincia di Verona, tre carabinieri hanno risposto come sempre: con disciplina, coraggio, senso del dovere. Non potevano sapere che quel casolare – un edificio di due piani immerso nella campagna – sarebbe stato la loro ultima missione.

Uno sgombero di routine

Uno sgombero di routine

Erano intervenuti insieme alla polizia per uno sgombero. Dentro, tre fratelli si rifiutavano di lasciare l’abitazione. Una situazione tesa ma, almeno all’apparenza, sotto controllo. Poi, all’improvviso, la deflagrazione: un boato che ha squarciato l’aria e cancellato in un istante ogni suono, ogni respiro, ogni possibilità di salvezza. L’esplosione, secondo le prime ricostruzioni, sarebbe stata intenzionalmente provocata dagli occupanti del casolare. L’intera struttura è crollata, travolgendo i militari e gli agenti accorsi sul posto.

Un boato che scuote il Paese

I vigili del fuoco hanno scavato per ore tra le macerie, con le mani e con il cuore. Ma per quei tre carabinieri non c’è stato nulla da fare. Tredici altri tra militari e poliziotti sono rimasti feriti, alcuni in modo grave. Il boato, che scuote l’Italia intera, è stato udito a cinque chilometri di distanza: un colpo secco, potente, che ha scosso non solo le case, ma anche la coscienza di un Paese intero.

Servitori dello Stato

Oggi l’Italia si ferma davanti al sacrificio di chi indossa una divisa non per mestiere, ma per vocazione. Servitori dello Stato, uomini che non si sono voltati dall’altra parte, che hanno varcato quella soglia per garantire sicurezza, per proteggere. Hanno perso la vita nel compimento del proprio dovere, come troppi prima di loro, in un silenzio rotto solo dalle sirene e dal suono lontano delle campane.

A Castel D’Azzano restano le macerie, l’odore acre del fumo e un dolore che pesa come piombo. Ma restano anche i nomi, i volti e l’esempio di chi, fino all’ultimo, ha scelto di servire. Perché l’uniforme non muore con chi la indossa: continua a vivere, ogni volta che uno di loro risponde, ancora, “presente”.

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