Calabria, centrosinistra unito ma senza bussola: il rischio di sprecare l’occasione del secolo

Le dimissioni (strategiche) di Occhiuto hanno offerto agli avversari la possibilità di giocare una partita inaspettata. Ma il candidato tarda ad arrivare

Non era mai successo in Calabria: due blocchi contrapposti; un centrosinistra unito, compatto, schierato contro il centrodestra. Non per un’improvvisa illuminazione politica, ma perché il governo di Roberto Occhiuto si è strategicamente sbriciolato sotto il peso di un avviso di garanzia e delle ombre del cosiddetto “cerchio magico”. Un crollo che, in un contesto normale, sarebbe stato il momento perfetto per colpire. E invece, il centrosinistra calabrese è lì, fermo, impantanato, a litigare sul nome del candidato.

Il tavolo romano

Il tavolo romano

L’uomo scelto a Roma – perché è a Roma che si decide, non certo a Catanzaro o Reggio – sarebbe Pasquale Tridico. Ex presidente dell’Inps, attuale europarlamentare, vive a Bruxelles e con la Calabria ha un rapporto più da cartolina che da trincea. Non conosce fino in fondo le dinamiche locali, le ferite aperte, i vizi strutturali della regione. E soprattutto, non sembra avere ancora la vocazione di mollare l’Europa per tornare a combattere in una terra che richiede nervi saldi e una conoscenza millimetrica del territorio.

Scalpitano altri candidati

Intanto, nel centrosinistra calabrese scalpitano nomi che la regione (a torto o ragione) la vivono ogni giorno: Nicola Irto, Giuseppe Falcomatà, Flavio Stasi. Ma la scelta è bloccata. Anzi, gli sfoghi interni rischiano di aprire vecchie ferite (il WhatsApp di Fernando Pignataro è la prova più eclatante). E qui sta il punto: se il centrosinistra non individua il suo candidato in tempi brevissimi, significa una sola cosa: Occhiuto e il centrodestra potranno fare e disfare a loro piacimento, dettare l’agenda politica, occupare lo spazio mediatico e consolidare il consenso mentre l’avversario resta fermo a guardare.

Realtà fuori dal comune

Questa non è una partita come le altre. Non è il Veneto, la Toscana, la Campania o le altre regioni dove si arriva a scadenza naturale di mandato. Qui il centrodestra ha gettato la spugna e chiede una legittimazione popolare per affrontare la magistratura da una posizione di forza. Altro che i problemi dei calabresi. Ma attenzione: se Occhiuto dovesse perdere dopo essersi dimesso, non sarebbe solo una sconfitta personale, trascinerebbe nel baratro tutto il centrodestra e, con esso, l’intera Calabria, esponendo la regione a mesi di instabilità e incertezza politica.

Il coraggio della spallata

Il centrosinistra, invece di trasformare questa frattura in una spallata definitiva, si è limitato a gioire per un’unità ottenuta non per merito proprio, ma per le disgrazie altrui. È un errore madornale: in politica, quando l’avversario è a terra, non si aspetta Roma per decidere se colpire o no. Si agisce. Si fa vedere ai calabresi che c’è un’alternativa, che si può governare con competenza e trasparenza, che non si ha paura di sfidare il “sistema” nel suo momento di maggiore debolezza.

La Calabria che non decide

Ma oggi, ai cittadini, arriva un messaggio diverso: che la Calabria non decide di sé stessa, che le sue sorti vengono trattate nelle stanze romane, che i calabresi contano meno delle dinamiche interne di partito. Il rischio? Che questa “occasione del secolo” si trasformi nell’ennesima occasione mancata. E che, alla fine, il centrodestra e Occhiuto tornino più forti di prima, mentre il centrosinistra resterà a raccontarsi che, almeno per un momento, era stato unito. In politica non basta essere uniti: bisogna anche sapere dove andare. E il centrosinistra calabrese, oggi, sembra aver perso la bussola proprio nel momento in cui avrebbe dovuto indicare la rotta.

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