Il giorno del ricordo dei defunti, il 2 novembre, si andava al cimitero per trovare i nonni. Il primo pensiero di mio padre era lasciare un fiore sulla tomba di Vincenzo Currà, un giovane di Calabro’ che gli salvò la vita facendogli scudo con il suo corpo alle schegge del bombardamento devastante dell’ 11 luglio sul campo d’aviazione di Vibo Valentia. Non mi piace esibire il mio privato ma questo ricordo è dovuto perchè leggendo “Carasace il giorno che della carne cristiana si fece tonnina” e il successivo “Lo sdiregno” di Giuseppe Occhiato trovo la testimonianza di mio padre in diversi passaggi sui bombardamenti del luglio 1943. Scrive Giuseppe Occhiato: “L’avvocato Tassi quel giorno era di servizio, e uscì vivo da quell’inferno per puro miracolo.
Si era disteso dentro un fosso, e poco distante da lui, come che era sottufficiale, c’era il suo attendente l’aviere Vincenzo Currà, un cilonaro di Contura; l’amaro foritano ci appizzò la vita, fu colpito alla coccalina e, secondo Franco Tassi, morì quasi subito senza un grido. Ricorda che quando si intese il primo ronzio degli aeroplani si trovava nella mensa dei sottufficiali, dove stavano ascoltando, il comunicato delle tredici: “rammento bene la circostanza, perchè proprio allora il bollettino di guerra aveva finito di annunciare il bombardameto dell’aeroporto di Reggio. Ondate successive di fortezze volanti lo avevano bersagliato, rendendolo inutilizzabile…. Appena sentimmo il rombo degli aerei, scappammo all’aperto, e chi fece in tempo si butto nelle trincee… Gli aerei del campo una trentina all’incirca vennero distrutti tutti, quali sulla pista e quali nell’aviorimesse…. Quasi tutte le palazzine del campo, le aviorimesse e gli impianti vennero distrutti. I morti furono moltissimi, una cinquantina fra gli italiani e una decina tra i tedeschi”. L’attacco fu portato da cinquantaquattro quadrimotori che sganciarono centinaia di bombe da 500 pounds e migliaia di spezzoni che colpirtono anche i paesi di Jonadi, Nao e Filandari. I morti in realtà furono 83 e 30 i feriti. Già il pomeriggio del 10 luglio, giorno dello sbarco in Sicilia, c’era stato un primo attacco da parte di dodici fortezze volanti americane che aveva interessato le zone vicine all’aeroporto provocando distruzione e morte tra i civili. Fu un crescendo di attacchi e bombardamenti che si susseguirono anche il 13 luglio con la distruzione di altri 15 aerei e il 15 luglio con morti e feriti. Fino ad arrivare al venerdi 16 luglio giorno della distruzione completa del campo d’aviazione e della strage degli innocenti di Carasace.
Si era disteso dentro un fosso, e poco distante da lui, come che era sottufficiale, c’era il suo attendente l’aviere Vincenzo Currà, un cilonaro di Contura; l’amaro foritano ci appizzò la vita, fu colpito alla coccalina e, secondo Franco Tassi, morì quasi subito senza un grido. Ricorda che quando si intese il primo ronzio degli aeroplani si trovava nella mensa dei sottufficiali, dove stavano ascoltando, il comunicato delle tredici: “rammento bene la circostanza, perchè proprio allora il bollettino di guerra aveva finito di annunciare il bombardameto dell’aeroporto di Reggio. Ondate successive di fortezze volanti lo avevano bersagliato, rendendolo inutilizzabile…. Appena sentimmo il rombo degli aerei, scappammo all’aperto, e chi fece in tempo si butto nelle trincee… Gli aerei del campo una trentina all’incirca vennero distrutti tutti, quali sulla pista e quali nell’aviorimesse…. Quasi tutte le palazzine del campo, le aviorimesse e gli impianti vennero distrutti. I morti furono moltissimi, una cinquantina fra gli italiani e una decina tra i tedeschi”. L’attacco fu portato da cinquantaquattro quadrimotori che sganciarono centinaia di bombe da 500 pounds e migliaia di spezzoni che colpirtono anche i paesi di Jonadi, Nao e Filandari. I morti in realtà furono 83 e 30 i feriti. Già il pomeriggio del 10 luglio, giorno dello sbarco in Sicilia, c’era stato un primo attacco da parte di dodici fortezze volanti americane che aveva interessato le zone vicine all’aeroporto provocando distruzione e morte tra i civili. Fu un crescendo di attacchi e bombardamenti che si susseguirono anche il 13 luglio con la distruzione di altri 15 aerei e il 15 luglio con morti e feriti. Fino ad arrivare al venerdi 16 luglio giorno della distruzione completa del campo d’aviazione e della strage degli innocenti di Carasace.
BOMBARDAMENTO DELL’AEROPORTO DI MONTELEONE
E arrivò il giorno che della carne cristiana si fece tonnina: “Spunto’ il sedici di giugnetto, che cadeva di venerdia, dell’anno ventunesimo e ultimo dell’era fascista, vale a dire del millenovecentoquarantre, e cadeva pure in quel giorno la ricorrenza della Madonna del Carmine. Alle undici e mezzo ci fu lo sconquasso generale, lo scatascio magno”. Riprendiamo la ricostruzione storica di Filippo Bartuli,anche a lui si deve il merito di aver fatto conoscere questa strage di innocenti. Bartull nella sua ricostruzione ci informa che l’attacco del 16 luglio fu portato fa ben 207 aerei partiti dalle base americane in Tunisia. Vi parteciparono 113 bombardieri medi e 94 caccia ( fighter): “Negli ultimi accampamenti americani delle basi di Dar El Koudia, di Souk el Arba e di Djedeida, in territorio tunisino, dalle ore 7 alle 9 di venerdì 16 luglio 1943, almeno 700 militari che formavano gli equipaggiamenti di 207 aerei tra bombardieri e caccia di scorta, venivano trasportati direttamente sulle piste, dove erano parcheggiati gli aeroplani della stella bianca, carichi di tonnellate di bombe”. ” Erano esattamente le ore 10,58 del 16 luglio 1943. La pioggia di bombe ebbe così inizio. Gli aeroplani alleggeriti del carico, ripresero quota rapidamente e continuarono a salire nel cielo terso d’estate, proprio nel momento in cui le bombe centravano il bersaglio in una serie di lampi rossastri”. Tutto questo sconquasso per la distruzione di 50 aerei presenti nell’aeroporto, rimasero intatti 22 caccia e 2 bombardieri mesi. L’aeroporto di Monteleone fu quasi competamente distrutto, l’operazione verrà completata il 20 luglio quando 22 bombardieri sganciarono 300 ordigni da 20 libbre in mezzo agli aerei rimanenti parcheggiati. Ma il peggio non era ancora finito.
Il GIORNO CHE DELLA CARNE CRISTIANA SI FECE TONNINA
Al termine del bombardamento dell’aeroporto i bombardieri iniziano il ritorno alle base in Tunisia. Una parte dei caccia invece compie la carneficina di Carasace a Mileto. Filippo Bartuli nelle sue ricerche storiche scopre un documento autografo del Capitano dell’Aviazione USA Mc Cord in cui si informa: “Alle ore 11,30 il Capitano McCord ( pilota-guida di una delle quattro squadriglie di scorta ai B-26 del 319° gruppo bombardieri) avvista un convoglio motorizzato”. Il convoglio motorizzato non era altro che che pochi carri agricoli e la fila degli sventurati uomini e donne e bambini che fuggivano terrorizzati dal bombardamento del campo di aviazione. Fu una strage di 39 civili inermi, di cui 32 donne e bambini.
RICORDO DELLE VITTIME
“Lassotto incontrarono la loro sorte le mogli dei miei tre cugini (afferma un testimone), intesi i Nennelli…Mariangela di quarantanove anni, moglie di Ntonino, anche lui rimasto ferito;Colina, di quarontotto, moglie di Domenico, e Nuzza, originaria di Scalisi, di quarantrè, moglie di Turi. A Domenico gli morirono pure i figli: Angelina, di venitrè anni, che era incinta, Pasqualino, di quindici anni, e la figlia più piccola, Stella di undici anni; e il figlio di Turi, Pasquale, di otto anni, perse un braccio. Anche il padre dei miei cugini morì insieme a tutti loro”. ” “..Mamma, mamma mia, li scannaru! li sfracellaru! Figghj! Figghj! figghj mei, poveri figghj scunsulati”, fu l’urlo tremendo che scaturì dalla bocca della cilonara Mariaconcetta Grillo, madre delle tre sorelline D’Onofrio, non appena si riprese dallo stordimento e potè vedere per prima quel micidio di cristiani grandi e piccoli, ammassati l’uno sull’altro e imporporati di sangue…”. ” Donna Mariacattolica Grillo, una madre di famiglia che allora aveva ventiquattro anni, è una delle poche cilonare superstiti( racconta Occhiato) ma dello squasso di quel giorno porta ancora con rabbia e dolore, il merco incancellabile impresso nella propria carne. Ha un occhio offeso e l’altro completamente spento…ma la pena che non la lascia mai, nemmeno oggi che è passato tanto tempo, è per la perdita del figlio Ntonino, un nipio di cinque mesi, spiratole fra le braccia che ancora allattava…”. ” Anche le tre sorelline D’Onofrio vennero lacerate dalle schegge e morirono tutt’e tre: Antonina, di quattro anni; Mariarosa di sei, una creatura dai capelli blundini e dalle cera incarnatina, tenera e delicata che te la bevevi come un rosolio; e Maria, la più grandicella, di nove anni…”. ” ..Guardai i morti ( racconta un’altra testimone) e riiconobbi subito mia cugina Nuzza, la moglie di Turi. Aveva i piedi con i calcagni svolati via, e le cannelle delle gambe furoi della carne; natiche non ne aveva piu’, era tutta maciullata e si vedevano le viscere di fuori… Mi avvicinai poi agli altri morti e riconobbi donna Raffaella Bulzomì, di ventinove anni; le mancava tutta la parte inferiore della faccia, il mento e la mascella erano perduti. Continuai a ricoprire i morti con quello che potevo.. Sembravano ridotti a tonnina, avevano le carni come lazzariate e passate alla crisara. Fra questi c’era pure mio zio Pasquale , il padre dei Nennelli, e pareva che stesse dormendo… Tra i morti, ricordo che c’era puramente una certa donna Marantonia intesa Marafiota… Poi contai i cadaveri ed erano diciotto… ” …. Tra i caduti civili di Carasace che il vecchio Vardaro non nomina( narra Occhiato) e che morirono quel giorno vi furono ancora i nipotelli di donna Nata Solano intesa Ptinnicchia, ossia Maria Santa Pagnotta, una nocentella di appena otto anni e il fratello quidicenne…”. A Santo Lia i morti furono sei. Fra i tanti , c’era mio zio Giovanni (sempre Occhiato che narra) con la moglie e i figli….”. ” A Sant’Elia , parla mia cugina Rosaria, mori’ pure la zia Nata Lascala intesa a Ingegnera, di 74 anni, con la figlia Mela, di quaranatre, che quel giorno doveva festeggiare l’onomastico. Morirono pure Caterina Colloca, di appena 11 anni e la zia Carolina, sorella del nonno Peppocchiato, che però era all’altro pagliaro. Come seppi appresso la zia Carolina ebbe il filetto della schiena completamente dilaniato dalle schegge. la figlia della Mecca-meca, Caterina fu colpita in mezzo al corpo, e ancora mi sembra di aver davanti agli occhi la scena: quella bambina con tutte le interiora di fuori: Tra gli altri ci furono il figlio di donna Carmela e tutt’e tre le figlie di donna Rosina, Mimma, Angelina e Alfonsina; donna Maria Pagnotta, moglie di un certo Giuseppe Chillemi, che fu pure colpito gravemente e spirò in seguito per le ferite riportate; don Clemente Miglio, cancelliere della Pretura, colpito alla testa; donna Nata e donna Mariaconcetta Romano, intese le Pisane, cugine di donna Carmela; e pure Ciccio di Carolina, cilonaro di Sant’Elia..”. Come ai piani di Santa Lia, anche a Jarè ( località di Mileto n.d.r.) vi erano, in mezzo alle olivare due pagliai pieni di gente….Sui pagliai caddero tanti spezzoni…. I forestieri morirono quasi tutti, e furono: Antonio Latorre e Carmela Verducci, che erano marito e moglie, e Giuditta Ganzio moglie di un fratello di Latorre…Morirono, ancora, le due donne anziane: Anna Vitro’, di Contura, e donna Teresa Mastruzzo, tutt’e due cilonare. La cosa piu’ appenante però, fu la morte di Rosetta Tavella. E tutti, infatti, si ricordano con dolenzìa di cuore di questa creatura, Rosettella, di dodici anni appena finiti, che possedeva le sette bellezze, bianca e rossa che pareva una pupa impastata di zucchero e miele. Spiro’ in braccio alla stessa mamma, donna Mariarosa Valente, trafitta da una scheggia o da una pallottola di mitragliatrice…”. Chiedo scusa per tutte le altre vittime che non sono riuscito a ricordare in questo riepilogo dei romanzi di Giuseppe Occhiato.
CONCLUSIONE
Occhiato conclude con un sogno. “Il 15 giugnetto ( luglio ) 1983, ossia a quarant’anni precisi di distanza dallo sdiregno, commare Mariantonia Tavella intesa Macrina… mi ebbe a raccontare un sogno che aveva fatto la notte avanti…. Nel sogno che aveva avuto, mi disse, le si erano fatti vivi quelli che erano rimasti uccisi in quel sedici giugnetto di quarant’anni avanti esatti, di cui ricorreva l’anniversario proprio il giorno seguente… Mi insognai una filagna di gente, ed era così lunga che non finiva mai. Camminavano a tempo a tempo, e passavano con la testa bassa e gavitosa davanti a uno che stava seduto, solagno, e che teneva sulle ginocchia una tafarìa con tanti pezzi di pane, a bocconi… Quell’uomo appariva affitto afflitto; si capiva che peniava pure lui per il dispiacere di non potere accontentare quelle povere animelle. … Pane significa anche messa, compare; e messa vuol dire priatorio. Ancora dopo quarant’anni cercano refrigerio e riposo”.
Sono trascorsi altri quarant’anni e purtroppo l’Umanità non trova refrigerio, pace e riposo. La Comunità Europea nata per evitare altre guerre fratricide sembra in preda ad un furore bellicista. La parola pace e convivenza sono abbrogate. La tragedia della seconda guerra mondiale che ho cercato di raccontare nello sbarco in Sicilia sembra non averci insegnato nulla. Da Gaza arrivano notizie di altri massacri di civili e di bambini nell’indifferenza europea. In Ucraina Putin continua a bombarda ospedali e civili, ZELENSKY sembra indifferente alle sofferenze del suo popolo. L’Occidente ha dimenticato l’arte della diplomazia e parla solo di armi e armamenti. La pace giusta dovrebbe arrivare con la guerra. L’Europa che è nata per ripudiare la guerra si è dissolta.