La vicenda delle dimissioni – forse rientrate – del dottor Vincenzo Mangialavori, primario di Ginecologia dell’ospedale Jazzolino di Vibo Valentia, ha avuto un inevitabile impatto mediatico e istituzionale. Ma oggi, alla luce delle poche battute rilasciate dal commissario dell’Asp di Vibo Valentia, Vittorio Piscitelli, ai colleghi de “Il Vibonese”, che sostiene di non aver mai ricevuto richieste o segnalazioni dal primario, si apre una domanda legittima: siamo di fronte a un gesto di rottura autentico o a dimissioni strumentali, usate come atto politico, mediatico o negoziale? Non vorremmo immaginare che la sanità vibonese nella tragicità degli ultimi eventi abbia trovato anche il coraggio di sbarcare su “Scherzi a Parte”.
Accuse gravi
Mangialavori, nella sua lettera di dimissioni, ha parlato di mancanza di ascolto, di assenza di confronto, di richieste inascoltate, nei suoi confronti come di tutti gli altri primari. Ma Piscitelli, oggi afferma candidamente di non aver mai ricevuto richieste dal primario e che tutto è stato chiarito. In precedenza, invece, era stato lasciato intendere che le procedure per dotare il reparto di alcune apparecchiature erano state avviate. A questo punto, sorgono spontanee delle domande: le richieste sono mai state avanzate, oppure no? E se sono state avanzate a chi sono state inoltrate? Qualcuno le ha nascoste? Qualcuno ha omesso qualcosa? Come vengono gestiti i protocolli? Oppure si è scelto di agire direttamente con un gesto clamoroso, saltando i canali istituzionali per spingere l’Asp in un angolo? Il dialogo è stato aperto a Vibo o in altre sedi? Qui servono risposte. Perché parliamo della sanità pubblica, quella che i cittadini (i vibonesi in particolare), pagano con lacrime e sangue senza ricevere, molto spesso, cure e assistenza.
Il gesto clamoroso
È difficile ignorare che, negli ambienti ospedalieri e sanitari, le dimissioni pubbliche e polemiche possano servire a forzare l’attenzione, mettere pressione ai vertici e ottenere, sotto il peso dell’opinione pubblica, quello che con i normali canali spesso viene ignorato. In questo caso, Mangialavori avrebbe potuto usare la forza del gesto – le dimissioni – per portare alla ribalta problemi reali, ma fin lì taciuti o sottovalutati.
Il silenzio post-chiarimento
Il fatto che, dopo l’incontro “chiarificatore”, Mangialavori non abbia rilasciato dichiarazioni, mentre Piscitelli afferma che il caso è chiuso, rafforza la sensazione che l’obiettivo fosse far partire un confronto, non davvero lasciare il reparto. Se così fosse, le dimissioni avrebbero avuto una funzione strumentale, pur legittima, ma distante dal significato originario di un atto di rottura per dare risposte a chi giorno per giorno a Vibo Valentia si presenta in ospedale per chiedere assistenza e cure.
Il paradosso
Se Mangialavori denuncia la mancanza di ascolto, ma non ha mai formalizzato una richiesta, né avanzato istanze documentabili, allora è possibile che il conflitto sia stato costruito più come un messaggio politico che come un’urgenza gestionale. Non è una novità nel mondo della sanità: la lettera di dimissioni, soprattutto se inviata alla stampa o resa pubblica, diventa un atto performativo, uno strumento per attrarre attenzione e influenzare dinamiche interne. Ancora peggio, invece, se qualcuno ha ritenuto di tenere da parte le richieste del primario di Ginecologia e degli altri suoi colleghi. In questo caso si potrebbe aprire un fascicolo nei piani alti del Palazzo di Giustizia.
Rischi e conseguenze
Questa strategia però non è priva di rischi: svilisce il significato delle dimissioni vere; alimenta sfiducia tra dirigenti e personale sanitario; espone i reparti a instabilità organizzativa, perché l’opinione pubblica e i colleghi non sanno più se stanno assistendo a un gesto di coscienza o a una manovra tattica che nasconde finalità personali.
La narrazione del conflitto
In Calabria – e in particolare nella realtà complessa dell’Asp di Vibo Valentia – il confine tra denuncia autentica e strumentalizzazione del disagio è spesso sottile. E questo episodio rischia di inserirsi in quella linea grigia dove il protagonismo personale si intreccia al vero disagio strutturale, creando confusione anziché chiarezza.
Una riflessione finale
Se il primario non ha chiesto e il commissario non ha negato perché nulla gli è stato domandato, chi ha sbagliato davvero? Forse entrambi. Perché in sanità – soprattutto in un territorio fragile – non basta denunciare né negare: serve comunicare, con metodo e tracciabilità. E se le dimissioni diventano solo uno strumento per farsi ascoltare, allora siamo già nel pieno fallimento della governance sanitaria.