Costruita, mai entrata in funzione e abbandonata al proprio destino, sta collassando su sé stessa la struttura di proprietà dell’Asp di Vibo Valentia, realizzata negli anni ’90 in uno stabile in cemento armato ubicato in via “Costarella”, a Dasà.
Ne avevamo parlato più volte negli anni scorsi, denunciando uno stato di abbandono estremo, nonostante l’impegno di risorse umane ed economiche – non dovute – da parte del Comune per mantenerla almeno in uno stato decoroso. Oggi, e da quanto ci viene riferito almeno da qualche anno, la struttura sta collassando su sé stessa, a partire dal tetto in tegole, che è ceduto in diversi punti.
Monumento allo spreco
La “cattedrale nel deserto”, una tra le tante in una terra dove la desertificazione è sempre più ampia, è l’ennesimo monumento allo spreco, un inno a un’epoca in cui le vacche erano grasse e, se i soldi arrivavano per “una cosa”, si faceva quella cosa. Poco importa se a nulla serve e se è costata oltre 400 milioni di lire. Tanto paga “Balanzone”. Cioè, il cittadino, che al momento non se ne rende conto ma poi si indigna nel vedere un’opera inutile preda del degrado. Soprattutto se ultimata e completa di impianto elettrico, infissi, riscaldamenti, servizi sanitari, cucine e arredamento per accogliere i degenti.
Ha funzionato qualche mese per un ufficio al pubblico (non si sa per cosa), con annessa linea telefonica attiva fino a poco tempo fa. E come illegittima (perché vi poteva accedere chiunque) sede di un archivio incustodito di documenti privati. Dopodiché il nulla lo ha avvolto. E tutti gli arredi sono spariti.
A ogni anomalia, l’amministrazione comunale – che, come detto, ha più volte ripulito l’area con proprie risorse – ha segnalato all’azienda sanitaria lo stato dell’arte. Compreso l’ultimo caso. Ma se da due anni il tetto “tende verso il basso”, evidentemente c’è stato un orecchio d’entrata e uno d’uscita. Oppure solo: l’Asp non “puole” (un mix tra non può e non vuole). E intanto: al nuovo ospedale sono state apposte almeno “dieci prime pietre”; le guardie mediche funzionano a singhiozzo; i medici di famiglia, alcuni, gestiscono studi e orari a proprio piacimento. E “io muoio”, direbbe oggi il grande Totò.
