La vicenda della rimozione del prefetto Vittorio Piscitelli dalla guida della commissione straordinaria dell’Asp di Vibo Valentia è la fotografia plastica di come la politica affronta i nodi più delicati: con il silenzio quando servirebbe il coraggio, con le parole quando conviene lo sfruttamento elettorale. Nessun politico, all’epoca dei fatti, ha ritenuto opportuno alzare la voce per chiedere spiegazioni. Nessuno ha preteso chiarezza sulle motivazioni che hanno portato alla sostituzione di un funzionario inviato dal ministero per blindare la sanità vibonese da interessi opachi.
Il caso Piscitelli
Il caso Piscitelli
Oggi, in piena campagna elettorale, il “caso Piscitelli” diventa improvvisamente materia di denuncia. La consigliera regionale del Pd, Amalia Bruni, chiede quali inadempienze siano state contestate all’ex prefetto e perché la rimozione abbia riguardato soltanto lui. Domande legittime, ma che arrivano con mesi di ritardo, quando ormai il silenzio della politica si era già fatto complice.
Indignazione tardiva
La tardiva indignazione rischia così di apparire più come una mossa tattica che come una battaglia di verità. La sanità di Vibo, logorata da anni di clientelismi, commissariamenti e cattiva gestione, avrebbe avuto bisogno di voci libere e coraggiose subito, non a ridosso del voto.
Perché la politica ha taciuto?
La domanda vera non è più solo perché Piscitelli sia stato mandato via, ma perché la politica abbia deciso di tacere allora e di parlare solo oggi. Perché i cittadini vibonesi meritano risposte, ma soprattutto meritano una classe dirigente capace di difendere la trasparenza sempre, non a corrente alternata.