Le urne sono aperte e la Calabria torna a scegliere. Ma lo fa dopo una campagna elettorale che più che un confronto di idee è sembrata una recita dell’assurdo. Niente verità, niente autocritica, solo promesse e slogan. Si è parlato di merito, di bonus, di redditi di dignità, ma non di corruzione, di clientele, dei cerchi magici che soffocano la regione.
Il presidente uscente si è dimesso un anno prima per smarcarsi dall’inchiesta; la burocrazia è stata accusata di tutto, ma nessuno ha avuto il coraggio di dire che è la politica a muoverne i fili. Intanto la sanità resta a pezzi, a Vibo il presidente non mette piede (forse per non ricordare la promessa dell’ospedale entro il 2026). E così, anche stavolta, a suonare non è stata la campana della verità, ma quella delle ipocrisie.
Il presidente uscente si è dimesso un anno prima per smarcarsi dall’inchiesta; la burocrazia è stata accusata di tutto, ma nessuno ha avuto il coraggio di dire che è la politica a muoverne i fili. Intanto la sanità resta a pezzi, a Vibo il presidente non mette piede (forse per non ricordare la promessa dell’ospedale entro il 2026). E così, anche stavolta, a suonare non è stata la campana della verità, ma quella delle ipocrisie.