Il mare malato della Calabria, Paolillo (Wwf): necessario un piano straordinario di risanamento

Il referente del Wwf indica le cause dell’inquinamento marino e chiede interventi strutturali su depurazione e agricoltura
mare sporco

Le recenti dichiarazioni del Procuratore della Repubblica di Vibo Valentia, Camillo Falvo, sullo stato del mare vibonese hanno acceso finalmente un riflettore istituzionale su una questione troppo a lungo negata: l’inquinamento delle acque costiere e i fenomeni sempre più frequenti di eutrofizzazione. A prendere parola, tra i primi, è stato Pino Paolillo, storico referente del Wwf, che da anni denuncia il degrado dell’ecosistema marino nel tratto tirrenico calabrese.

“Per troppo tempo – afferma Paolillo – la questione è stata ignorata, sminuita o addirittura taciuta, a parte qualche voce solitaria che oggi, comprensibilmente, è diventata rauca”. Il biologo ambientale riconosce al procuratore Falvo un impegno istituzionale importante, che ha portato a indagini e controlli più serrati, sebbene – come lo stesso magistrato ha ammesso – i risultati ottenuti finora non siano bastati: le chiazze marroni, le fioriture algali e le proteste di cittadini e operatori turistici continuano a ripetersi.

“Per troppo tempo – afferma Paolillo – la questione è stata ignorata, sminuita o addirittura taciuta, a parte qualche voce solitaria che oggi, comprensibilmente, è diventata rauca”. Il biologo ambientale riconosce al procuratore Falvo un impegno istituzionale importante, che ha portato a indagini e controlli più serrati, sebbene – come lo stesso magistrato ha ammesso – i risultati ottenuti finora non siano bastati: le chiazze marroni, le fioriture algali e le proteste di cittadini e operatori turistici continuano a ripetersi.

Molte le cause

Al centro del ragionamento di Paolillo c’è una verità scientifica chiara ma troppo spesso ignorata nel dibattito pubblico: la complessità delle fonti di inquinamento. Le sostanze nutritive (in particolare nitrati e fosfati) che alimentano la proliferazione di microalghe provengono da due filoni principali: scarichi urbani, reflui non depurati, per assenza di depuratori o per la loro inefficienza; abitazioni non allacciate alle reti fognarie; scarichi abusivi e fanghi che finiscono direttamente in mare.

Produzioni agricole

Attività agricole intensive, che rilasciano fertilizzanti nei campi, i quali – tramite il dilavamento delle acque meteoriche – finiscono nei corsi d’acqua e quindi in mare. Nel primo caso, si parla di sorgenti puntiformi, più facilmente individuabili e controllabili. Nel secondo, si entra in un terreno ben più complesso, che coinvolge intere aree agricole, come la vasta piana di Lamezia Terme, già dichiarata Zona Vulnerabile ai mitrati (Zvn) dalla Regione Calabria con la delibera n. 119 del 31 marzo 2021.

Secondo Paolillo, serve uno sforzo collettivo per conciliare due settori fondamentali per l’economia calabrese: agricoltura e turismo. “Maggiori presenze turistiche – sottolinea – determinano un incremento delle vendite di prodotti agricoli locali, mentre un’agricoltura rispettosa dell’ambiente favorisce un mare più pulito e fruibile”.

Le soluzioni ci sono

La strada è già tracciata dalla scienza agronomica: uso razionale dei concimi, rispetto dei tempi e dei dosaggi, tecniche agricole meno impattanti. Una misura concreta e poco costosa potrebbe essere l’introduzione delle buffer strip, fasce vegetali di 5-10 metri (con Tamerici, Salici, canneti) da collocare tra i campi e i corsi d’acqua per filtrare nitrati e fosfati. Una pratica che contrasta nettamente con l’attuale distruzione sistematica della vegetazione ripariale da parte di alcuni enti e privati, che contribuisce invece all’erosione del suolo e al trasporto di fanghi in mare.

Stop allo scarica barile

Paolillo invoca anche la fine dello “scaricabarile” tra enti, amministrazioni e comparti produttivi: “È tempo di avviare una strategia su larga scala e su tempi medio-lunghi, coinvolgendo anche le aziende agricole. L’attuazione di un vero piano di monitoraggio dei nitrati, come previsto dalle normative europee, con stazioni di controllo sia nelle acque superficiali che sotterranee, è il primo passo per capire dove intervenire e come ridurre l’apporto di nutrienti al mare”.

Infine, un’ultima importante precisazione di natura scientifica: molte specie di microalghe riescono a sopravvivere nei sedimenti marini sotto forma di cisti, anche con densità superiori al milione per metro quadrato. In condizioni ambientali favorevoli, queste cisti si schiudono e danno vita a nuove fioriture. “Un ciclo che rischia di perpetuarsi – avverte Paolillo – se non si agisce su tutti i fronti”.

Non esistono scorciatoie

Paolillo poi conclude: “Per un problema tanto articolato non esistono soluzioni facili né rapide. Non ci sono scorciatoie. Il nostro mare è stato aggredito e trascurato per troppi anni. Ci vorrà tempo per risanarlo, ma continuare a negare o a rinviare equivale solo ad aggravarne la condizione. Un’alternativa non è tra le opzioni”.

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