Il pessimo gusto della rigenerazione urbana. Le nostre piazze grideranno vendetta

L'architetto Cesella Gelanzè demolisce le progettazioni e ammonisce: sembra che a Vibo non si contempli il rispetto e l'amore per il bello

Ogni bagaglio culturale, anche il mio, parte dall’esercizio del leggere, ripetere e scrivere e non ha confini e barriere tra ciò che si guarda o ascolta e appartiene ad opere di altri tempi e ciò che è testimonianza del presente che si vive. Purtroppo però, lo scollamento tra passato e contemporaneità è sempre più evidente e la nostra città non ne è immune, anzi. Ho resistito più volte dall’intervenire, attendendo che quella che sembrava una nebbia che non offriva una visione tersa della realtà, alla fine si diradasse, ma i presupposti si sono trasformati in certezze che restituiscono una città che non è la continuità di quella preesistente, ma appare sdrucita e rattoppata come un vestito che ha subìto un rammendo di pessima fattura.
Il collega cui è stato affidato il progetto di restauro della Piazza, per noi vibonesi Santa Maria, ha scomodato Le Courbusier per cercare di dare un riferimento “culturale” al suo prodotto che con tutta evidenza nessuna attinenza possiede con i principi dell’esponente della corrente razionalista dell’architettura.

Un problema di quote

Un problema di quote

Anzi, il contrario. Più di 40 punti luce posti in fila, in doppia veste, svettano nella piazza caratterizzata dalla chiesa, creando il contrasto col preesistente che li rende estranei, di disturbo all’atmosfera che avvolgeva lo spazio circostante. Le quote mal calcolate del preesistente e peggio adattate al nuovo, dal momento che non occorre una laurea per verificarne l’incongruità con la funzione che un piano di calpestio deve avere, non sono nemmeno commentabili. Purtroppo la cultura, di cui troppo facilmente si usa farne il manifesto a proprio uso e consumo, in questa città non contempla il rispetto e l’amore per il bello che non è la piazza ripulita della sua storia e del suo vissuto, ma l’amplificazione e la cura di quello che di gradevole ci è stato tramandato, compreso il verde. Anzi, a partire dal verde.

Non sono d’accordo

E qui, secondo step. Di nuovo una piazza. Le piazze di questa città grideranno vendetta per il pessimo gusto inserito in una generica “rigenerazione urbana” che, stando al significato attribuito all’espressione dalla volontà di recuperare zone edificate spesso in disuso, è in realtà nei casi di cui parliamo, distante da quello che sarebbe dovuto essere più appropriatamente un “restauro urbanistico”. Mi spiace discordare dall’opinione e dall’operato dei miei colleghi nelle opere progettuali eseguite.

Passiamo ora alla piazza per antonomasia della città, non quella più “antica”, attribuendo all’aggettivo oltre al valore storico anche quello artistico come la teoria del restauro prescrive, ma quella vissuta da intere generazioni come il punto d’incontro di ragazzi, giovani e meno giovani e per decenni spazio di raccordo tra due splendide testimonianze di architettura dell’età in cui furono edificate e che rappresentano, una la casa di chi governa la città e l’altra, la prima dimora al di fuori della famiglia, la scuola.

La forza distruttrice

Piazza Municipio, come ogni vibonese denomina quello spazio, con le aiuole, gli alberi che il tempo ha pur sostituito nella specie, ma mai facendoli mancare, la fontana centrale, d’obbligo, completata dalla scultura di un artista nostro, cioè figlio di questa terra e perciò col suo valore anche storico, ora non si comprende cosa sia o intenderà essere. Come se un potente aspirapolvere fosse sfuggito di mano e avesse risucchiato alberi, aiuole e anche la vasca con scultura. Dei due cedri dal valore inestimabile che non abbiamo visto citati nell’immagine d’insieme del progetto che sta rivoluzionando lo spazio per cui sarebbe bastato un intervento di adattamento alle funzioni attuali, ora ne rimane uno. L’altro è stato abbattuto, vittima dell’incuria e del pressapochismo di chi eredita senza averne merito.

La chiesa senza gradini

C’era una volta una piazza, con una chiesa che si ergeva sui gradini che come consuetudine di tradizione classico- rinascimentale, segnavano la sopraelevazione della casa di Dio dal livello del terreno, e c’era uno spazio che importanti edifici dalle fattezze rappresentative dell’epoca artistica cui appartiene la loro realizzazione, hanno definito per quasi un secolo la piazza del passeggio e dello sbocco d’uscita di centinaia di scolari, con la sua “utilitas” unita alla “venustas”, la bellezza che bastava fosse rinfrescata e armonizzata.
Sembra ora, che alla chiesa abbiano annegato il primo dei gradini del sagrato nella nuova copertura del manto stradale dalle pendenze bizzarre e che una grande raccolta d’acqua in uno spazio dedicato, occuperà l’area centrale della Piazza su cui le scuole e la casa del Comune insistono e su cui il grande cedro del Libano superstite continuerà con la sua maestosità a emergere e a far la differenza tra il tempo che fu, dell’uomo, e quello che è, di una macchina nemmeno sempre ben programmata. Cosa saremo costretti a vedere ancora?

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