Lamezia Terme, ripartire dal senso profondo della sicurezza

Dopo il voto, la città guarda avanti. Ma per ritrovare fiducia serve andare oltre slogan e percezioni, e tornare a parlare di comunità, diritti, servizi.

Di tutte le parole che il dibattito pubblico ha progressivamente svuotato di senso, “sicurezza” è forse quella più compromessa. Negli ultimi decenni è stata caricata di significati politici distorti, trascinata nei comizi, usata per dividere, per spaventare, per costruire consenso. È diventata un campo semantico blindato, dove solo alcuni si sentono autorizzati a parlare.

Ed è proprio da qui, da questo vuoto narrativo, che bisognerebbe ripartire. Anche e soprattutto in una città come Lamezia Terme, che da poche settimane ha affidato il proprio governo a una nuova amministrazione comunale guidata da un sindaco di centrodestra, Mario Murone. Una scelta legittima, democratica, che segue delle riflessioni necessarie.

Cosa significa, oggi, “sicurezza” per una città di medie dimensioni del Sud, attraversata da cicatrici profonde? È sufficiente promettere decoro urbano, pattugliamenti, repressione del piccolo crimine per garantire ai cittadini quel senso di protezione che cercano? La risposta, con ogni probabilità, è no.

La percezione di insicurezza esiste. È diffusa, radicata, reale. Ma raramente coincide con i dati oggettivi. La cronaca costruisce allarmi, ma le statistiche ci dicono che i reati violenti sono in costante calo. Il vero timore che serpeggia tra le persone non ha a che fare solo con l’aggressione notturna o il furto in casa. Ha a che fare con qualcosa di più profondo e trasversale: la fragilità del vivere quotidiano.

La sicurezza, quella vera, è poter accedere a una scuola pubblica che funzioni, è sapere che un pronto soccorso ha il personale numericamente sufficiente a gestire la richiesta sociale, che una strada è illuminata, che un figlio può crescere senza dover emigrare per realizzarsi. È vivere in un quartiere dove ci sono spazi per socializzare, fare sport, incontrarsi. Dove l’ascensore sociale, oggi inceppato, torna a muoversi.

A Lamezia, tutto questo non è un’astrazione. È un’urgenza. Periferie scollegate, sanità claudicante, servizi ridotti all’essenziale, giovani in fuga, donne invisibili, anziani soli. La vera insicurezza nasce da qui. Non dai titoli urlati, ma dal logoramento sistemico di ciò che tiene insieme una comunità: il welfare, la cultura, l’equità.

Serve, dunque, uno scatto. Ma uno scatto culturale, prima che politico. Un ritorno al significato autentico delle parole. Perché non c’è giustizia senza sicurezza, ma non c’è sicurezza senza giustizia sociale.

Parlare di sicurezza senza parlare di lavoro, salute, ambiente, dignità, significa raccontare solo una metà della storia. Quella che fa più comodo, ma che non salva nessuno.

Il compito che spetta al nuovo asset politico lametino è anche quello di creare le condizioni per una vita degna, una vita fatta di tempo, relazioni, scelte. Lamezia non ha bisogno solo di una nuova giunta. Ha bisogno di una nuova visione.

E le visioni nascono sempre dalle parole. Quelle vere. Quelle che qualcuno, prima o poi, deve avere il coraggio di restituire al loro significato profondo.

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