Giunti ormai agli sgoccioli di questa stagione estiva, è arrivato il momento di trarre delle conclusioni che riescano a inquadrare nella giusta dimensione quello che si è rivelato “un flop a tutti gli effetti e che, una volta per tutte, possa sgomberare il campo da diversi equivoci”. Lo scrive in una nota l’Usb (Unione sindacale di base).
“Con le risorse naturali di cui è dotato il nostro territorio – evidenzia il sindacato – non riuscire a sfruttare a pieno la stagione turistica sembrava un’impresa quasi impossibile; eppure il connubio tra una classe dirigente palesemente inadeguata, che ha di fatto legittimato una visione predatoria del turismo ben più acuta di quella ‘semplicemente’ estrattiva, e una classe imprenditoriale che nonostante la visione e l’aspirazione da Ancien Règime, quanto a sciatteria, farebbe impallidire quelle che nel dopoguerra venivano definite ‘straccione’, è riuscito a produrre questo fiasco”.
“Con le risorse naturali di cui è dotato il nostro territorio – evidenzia il sindacato – non riuscire a sfruttare a pieno la stagione turistica sembrava un’impresa quasi impossibile; eppure il connubio tra una classe dirigente palesemente inadeguata, che ha di fatto legittimato una visione predatoria del turismo ben più acuta di quella ‘semplicemente’ estrattiva, e una classe imprenditoriale che nonostante la visione e l’aspirazione da Ancien Règime, quanto a sciatteria, farebbe impallidire quelle che nel dopoguerra venivano definite ‘straccione’, è riuscito a produrre questo fiasco”.
Prezzi alle stelle
Secondo la Usb, “l’innalzamento esponenziale e senza alcun controllo dei prezzi di qualsiasi tipo di bene (dalla semplice bottiglietta d’acqua a quello di ombrelloni e lettini e – per amor di decenza – tacciamo quello di affitti o di pranzi e cene nei ristoranti), i cervellotici regolamenti interni adottati nei singoli stabilimenti (come se ci trovassimo di fronte a territori di giurisdizione speciali, dove vigono leggi autonome secondo le quali non si può portare nulla da casa, ma solo consumare merce comprata in loco e pagata profumatamente) è riuscito a far disperdere quell’onda lunga che si era creata negli anni della pandemia, quando giocoforza l’obbligo di non oltrepassare i confini nazionali aveva favorito enormemente la nostra regione”.
Sfruttamento della manodopera
“Ma di fatto – sostiene l’Usb – ciò non è che l’altra faccia della medaglia di un sistema che per continuare a (soprav)vivere, ha bisogno di reggersi sullo sfruttamento della manodopera, vale a dire tutti quegli operatori del settore turistico che, trattati alla stregua di servi della gleba, attraverso turni massacranti, salari da fame e tutele assenti mandano avanti un settore che, giova sempre ricordarlo, pur producendo il 10,8% del PIL nazionale, viene affrontato in maniera draconiana da padroncini che operano fuori da ogni logica e da ogni analisi comparata e pretendono non solo di essere gli unici a non risentire della crisi generale, ma anche di poter realizzare in una manciata di settimane i guadagni necessari per un anno intero, ovviamente rivalendosi sui propri dipendenti”.
Testimonianze
Le testimonianze raccolte, continua l’Usb, “sono in costante aumento nonostante la drastica diminuzione delle presenze sulle nostre coste e delineano un affresco abbastanza inquietante. A fronte di milioni regalati alla Ryanair ed amici per pubblicizzare la Calabria. Non ci riferiamo soltanto alla certificazione di come l’estate sia di fatto diventata una cristallizzazione delle crescenti diseguaglianze sociali nel nostro Paese, ma anche all’indirizzo sempre più marcato che sta prendendo il mondo del lavoro in quell’Italia che proprio grazie al turismo avrebbe dovuto ridare nerbo alla propria economia. Invece, al di là di slogan roboanti, esso produce solo lavoro povero, subordinazione e precarietà”.
La Usb ricorda come “cortei e scioperi settoriali, insieme alla campagna ‘Cercasi Schiavo’, siano riusciti a porre sotto l’attenzione quanto stiamo denunciando, oltre a realizzare un coordinamento nazionale tra realtà in precedenza tanto affini quanto isolate tra di esse”.
Narrazione tossica degli imprenditori
Secondo il sindacato, nonostante ciò, una “costante in questi anni di trasfigurazione dell’ ‘Estate italiana’, sono state le lamentele degli imprenditori balneari che, seppur tutelati ed eccessivamente coccolati dalla politica, prima di riuscire a piazzare la propria ‘punta di diamante’ al Ministero, hanno prodotto una narrazione tossica incentrata sulla mancanza di lavoratori nel settore a causa del Reddito di Cittadinanza o della mancanza di attitudine al lavoro e al sacrificio dei giovani.
Tutte fandonie impietosamente smentite dai dati degli anni precedenti, ma che hanno funzionato da cortina fumogena dietro cui nascondere ulteriori casi di sfruttamento, sia del personale che del territorio”.
L’Usb denuncia “l’allargamento senza colpo ferire di tanti stabilimenti ai danni delle spiagge pubbliche; fino ad arrivare al momento attuale in cui, dopo essere riusciti a ottenere una proroga delle concessioni sulle spiagge previsti dalla Legge Bolkestein, avviata una lunga campagna contro di esse, denunciando un fantomatico disegno di un non meglio precisato capitalismo finanziario e multinazionale a scapito delle attività a conduzione familiare, pur di nascondere la loro inadeguatezza professionale e lo sfruttamento di cui sono responsabili, nonostante le condizioni più che agevoli di cui questo settore ha goduto per decenni”.
Appello a regole etiche
L’Usb lancia un appello: “Consapevoli che se facessimo di tutta l’erba un fascio, saremmo come gli stessi che hanno creato il dogma dei ‘giovani fannulloni’ e che noi puntiamo a combattere nei modi e nell’essenza, siamo consapevoli che accanto a una stragrande maggioranza di sfruttatori (lo dicono i dati dell’Ispettorato del Lavoro che riportano come ben oltre il 70% delle attività commettano delle irregolarità anche piuttosto evidenti), ci rivolgiamo a chi lavora virtuosamente nel settore affinché prenda le distanze da chi fa affondare le credibilità di un intero settore, ma soprattutto alle autorità territoriali per realizzare una sorta di codice etico che possa concorrere nell’assegnazione delle future concessioni che premi chi ha costruito rapporti virtuosi (e soprattutto comprovati, come salari equi e condizioni di lavoro dignitosi) col territorio e con i propri dipendenti, sbarrando la porta a chi ha fatto dello sfruttamento e degli imbrogli un marchio di fabbrica”.