Ospedale di Tropea verso il baratro: il grido di Porcelli scuote la Conferenza dei sindaci

Il primo cittadino di Drapia denuncia lo smantellamento progressivo del nosocomio: reparti al collasso, personale non sostituito, fondi che svaniscono e una sanità che rischia di morire nel silenzio della politica

L’aula della Conferenza dei sindaci, già tesa per l’emergenza sanitaria che investe l’intera provincia, si è subito ammutolita quando il sindaco di Drapia, Alessandro Porcelli, ha preso per primo la parola. Il suo intervento, lucido e allo stesso tempo feroce, ha portato al centro del dibattito una verità che molti conoscono ma pochi hanno il coraggio di gridare: l’ospedale di Tropea sta morendo. E con esso, un intero territorio.

Qualcuno fa finta di nulla

Qualcuno fa finta di nulla

Porcelli non ha usato perifrasi: “I problemi c’erano, ci sono e ci saranno. Ma se anche oggi siamo qui a discutere delle stesse emergenze di ieri, forse è perché qualcuno continua a far finta di niente”. Il riferimento è all’ospedale generale di Tropea, una struttura che per bacino d’utenza, posizione strategica e vocazione turistica dovrebbe essere un punto di forza della sanità vibonese. E invece, denuncia il sindaco, è un castello che viene sgretolato pezzo dopo pezzo.

Reparti svuotati

Il racconto di Porcelli è un inventario del collasso: medici che vanno in pensione senza essere sostituiti, responsabili di reparto lasciati soli fino all’estinzione dei servizi, reparti che chiudono perché la programmazione non esiste. “Non possiamo far finta che sia una sorpresa – afferma – si sa quando una persona va in pensione. E allora perché non si agisce? Perché si lascia marcire tutto finché non si spegne anche l’ultima luce?”. Oncologia è “a rischio”, chirurgia e ortopedia sono già “cadute”, ora tocca alla radiologia. Un degrado che, secondo Porcelli, non è solo frutto di inerzia: è una precisa conseguenza della mancanza di volontà politica e gestionale nel rispettare gli stessi atti aziendali degli ultimi anni, “una Bibbia che nessuno legge e che nessuno applica”.

L’ospedale di comunità

Il sindaco di Drapia entra nel merito: “Tropea ha un progetto di ospedale di comunità finanziato dal Pnrr: Abbiamo un progetto esecutivo? Esiste davvero? Se non lo sappiamo, significa che quei soldi rischiano di svanire. E perderli sarebbe un delitto verso i cittadini”. Porcelli demolisce anche la teoria secondo cui gli ospedali di comunità andrebbero aperti solo in strutture dismesse: “Falso. Servono dove l’ospedale generale esiste e funziona, perché lì possono operare in integrazione. A Tropea sarebbe fondamentale”.

Sulla costa milioni di persone

La Costa degli Dei non è un dettaglio: “Parliamo di un territorio che in estate accoglie milioni di persone. Eppure – afferma – non siamo in grado di garantire una lastra in tempi decenti”. E racconta episodi diretti: ore di attesa per un referto, personale ridotto all’osso, cittadini costretti a sperare nella fortuna. E poi l’ammissione amara: “Se non ci fossero stati i medici cubani, saremmo stati distrutti. La gente moriva in corsia”. La frase risuona come uno schiaffo.

Dove sono finiti i fondi?

Porcelli chiama in causa l’enigma dei 22 milioni destinati all’ospedale di Vibo per la ristrutturazione: “Che fine hanno fatto? Verranno usati altrove? Bene, ma se dobbiamo aspettare dieci o vent’anni per una nuova struttura, nel frattempo la gente muore”. Una verità brutale che nessuno in sala ha potuto smentire.
La parte finale del suo intervento diventa un appello e un avvertimento:
“O ci muoviamo insieme, ora, o saremo complici di questo disastro. La sanità non ha colore politico. Non possiamo chiudere questa giornata e tornare a dormire. Non possiamo più permettercelo”. Il sindaco di Drapia sferza tutti, anche se stesso: “Abbiamo dormito. Tutti. È ora di svegliarsi”. Un passaggio che rompe gli equilibri e richiama ciascun sindaco alle proprie responsabilità.

Una verità scomoda

L’intervento di Alessandro Porcelli rimarrà uno dei momenti più forti della Conferenza dei sindaci: un’esposizione durissima, non diplomatica, scomoda. Ma forse necessaria. Perché la sanità vibonese è arrivata a un punto in cui non servono più le parole: servono scelte. E servono adesso.

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