Petrolmafie, nel processo d’Appello chieste diciannove condanne

In aula ad affiancare la Procura generale anche la pm della Dda Annamaria Frustaci che ha insistito sulla condanna ad otto anni di reclusione per Filippo Fiarè e Gregorio Giofrè

Conferma delle condanne  emesse in primo grado  (processo abbreviato davanti al Gup distrettuale) e riforma del verdetto in precedenza emesso nei confronti di due imputati: Filippo Fiarè e Gregorio Giofrè entrambi di San Gregorio d’Ippona. A loro carico la pm Annamaria Frustaci ha chiesto 8 anni di reclusione ciascuno. Queste le conclusioni della requisitoria della Procura generale nel processo d’appello denominato Petrolmafie.

 In particolare la Procura generale ha invocato le condanne nei confronti di Francescantonio Anello di Filadelfia a 7 anni; Giuseppe Barbieri di Sant’Onofrio a 6 anni; Gerardo Caparrotta a 4 anni; Armando Carvelli di Crotone a 3 anni e 2 mesi; Giovanni Carvelli di Petilia Policastro a 3 anni e 4 mesi; Vincenzo Zera Falduto di Reggio Calabria a 2 anni e 10 mesi; Pasquale Gallone di Nicotera a 6 anni;  Giorgio Salvatore a 7 anni e 10 mesi; Giuseppe Mercadante di Casal di Principe (Ce) a 4 anni e 2 mesi; Daniele Prestanicola di Maierato a 7 anni;  Antonio Ricci di Montecorvino Pugliano a 2 anni e 6 mesi; Domenico Rigillo di San Vito sullo Ionio a 7 anni e 10 mesi;  Orazio Romeo di Acireale a 5 anni; Alessandro Primo Tirendi di Gravina di Catania a 6 anni e 8 mesi;  Angelo Ucchino di Giardini Naxos a 3 anni e 2 mesi e Salvatore Ucchino di Taormina a 3 anni e 8 mesi. A dicembre scorso Gioacchino Falsaperla ha concordato la pena.

Inoltre nei confronti di Gregorio Gioffrè e Filippo Fiarè, entrambi di San Gregorio d’Ippona (assolti in abbreviato) il pm ha chiesto 8 anni di reclusione.

Gli imputati rispondono a vario titolo di associazione di stampo mafioso, estorsioni, riciclaggio, reimpiego di denaro di provenienza illecita in attività economiche, intestazione fittizia di beni, evasione delle imposte e delle accise anche mediante l’emissione e l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, contraffazione e utilizzazione di documenti di accompagnamento semplificati. Reati aggravati dall’essere stati commessi per agevolare le associazioni ’ndranghetistiche attive sul territorio calabrese, in particolare, quella dei Mancuso di Limbadi, anche se per alcuni di loro è caduta l’aggravante mafiosa.

Altri 54 imputati, coinvolti nella stessa inchiesta, sono stati giudicati in primo grado con il rito ordinario davanti al Tribunale collegiale di Vibo Valentia. Sono in tutto dodici le parti civili costituite: la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministero dell’interno, l’Agenzia delle dogane, l’Agenzia delle Entrate, la Regione Calabria, l’Associazione Antiracket e Antiusura (assistita dai legali Giovanna Fronte), l’associazione Cooperporo edile, la Provincia di Vibo (avvocato Maria Rosa Pisani), dei Comuni di Vibo Valentia, di Sant’Onofrio (rappresentati entrambi dal legale Maria Antonietta La Monica) e Limbadi (avvocato Giulio Ceravolo), l’imprenditore Filippo Colacchio.

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