Nel cuore dell’estate calabrese, in una città turistica come Pizzo, si è consumato un episodio che lascia l’amaro in bocca e riaccende i riflettori su un tema troppo spesso relegato ai margini: il rispetto dei diritti delle persone con disabilità.
La vicenda
La vicenda
Una donna invalida, regolarmente munita del contrassegno disabili, è stata multata dalla Polizia municipale per aver parcheggiato in una zona riservata ai residenti. Il motivo? In quell’area centrale della città, i posti per disabili erano inesistenti o tutti occupati. Nonostante ciò, e pur non avendo arrecato alcun intralcio alla circolazione, la signora è stata sanzionata.
L’intervento del Prefetto
Un episodio che avrebbe potuto concludersi con il riconoscimento immediato dell’errore da parte delle autorità. E invece no: la donna ha dovuto affrontare un iter amministrativo per vedere riconosciuto il proprio diritto. Solo grazie all’intervento dei figli, Giuseppe e Mariagrazia Galloro, che l’hanno sostenuta nel presentare ricorso al Prefetto, è arrivata la verità dei fatti: il verbale è stato annullato e ne è stata disposta l’archiviazione.
Silenzio istituzionale
Ma l’aspetto più inquietante della vicenda è il silenzio istituzionale che l’ha seguita. Né la Polizia municipale né il Sindaco hanno avuto l’accortezza, la sensibilità o semplicemente la buona educazione di porgere le scuse alla cittadina per il disagio ingiustamente arrecato. Non una parola, nemmeno dopo il pronunciamento del Prefetto.
Dignità ferita
“Non si tratta solo di una multa – affermano Giuseppe e Mariagrazia Galloro – ma di una ferita alla dignità di una persona che già ogni giorno affronta ostacoli fisici e sociali. Ciò che ci ha lasciati sgomenti è stata la freddezza e l’arroganza con cui è stata gestita tutta la vicenda”.
Normativa violata
La normativa nazionale in materia parla chiaro: i veicoli muniti di contrassegno disabili, in mancanza di posti riservati o quando questi risultano occupati, possono sostare anche in aree normalmente vietate, purché non causino pericolo o intralcio, comprese quelle riservate ai residenti o le cosiddette “aree rosa”. Si tratta di norme ispirate al buon senso e all’inclusività, che tengono conto delle difficoltà quotidiane che le persone con disabilità affrontano. A Pizzo, però, si è scelto di ignorare tutto questo, applicando la regola in modo cieco, burocratico, e finendo col colpire chi andrebbe tutelato.
La difesa dei diritti
Ma c’è di più. La famiglia Galloro ha voluto anche sottolineare un altro aspetto, spesso ignorato: la forza di difendere i propri diritti non è alla portata di tutti. Non tutti i cittadini hanno una rete familiare o le competenze per affrontare un procedimento amministrativo. Molti, davanti a una sanzione ingiusta, preferiscono pagare per non avere problemi, pur sapendo di essere dalla parte della ragione. Ed è proprio su questa debolezza che alcune amministrazioni sembrano fare leva. “Chi non ha strumenti o supporti, finisce per subire. È un modo sleale di fare cassa – dicono ancora Giuseppe e Mariagrazia – e non possiamo accettarlo. Le istituzioni devono proteggere i più deboli, non vessarli”.
Campanello d’allarme
L’episodio di Pizzo, dunque, non è un caso isolato ma un campanello d’allarme. È il paradigma di una cultura amministrativa che, in assenza di empatia e preparazione, finisce per diventare essa stessa una barriera, più ancora di quelle architettoniche. Oggi, grazie alla determinazione della famiglia Galloro, la verità è emersa. Ma la mancanza di scuse e l’assenza di una presa di responsabilità da parte del Comune rappresentano un’offesa ulteriore. Nel nostro Paese, il rispetto per le categorie più fragili non può essere lasciato alla discrezione degli uffici comunali o al caso. Va preteso. Perché i diritti – soprattutto quelli dei più vulnerabili – non si discutono. Si garantiscono.