Un nuovo colpo alla ‘ndrangheta è stato inferto all’alba del 13 maggio, quando i carabinieri del Ros, con il supporto del Comando provinciale di Reggio Calabria e dello Squadrone Eliportato Cacciatori “Calabria”, hanno dato esecuzione a quattro misure cautelari nei confronti di presunti affiliati alla cosca Labate, storicamente radicata nel quartiere Gebbione del capoluogo.
Nomi degli arrestati
L’operazione, coordinata dalla Dda di Reggio Calabria, guidata dal procuratore facente funzione Giuseppe Lombardo, rappresenta la naturale prosecuzione dell’indagine “Heliantus” e ha portato in carcere Michele Labate (classe ’56), Francesco Salvatore Labate (classe ’66) e Paolo Labate (classe ’85). Ai domiciliari, invece, è finito Antonino Laganà (classe ’71), considerato un fidato gregario del gruppo.
L’influenza del clan
Secondo quanto ricostruito dagli investigatori, l’inchiesta – avviata nel 2019 – ha documentato gli assetti interni della cosca nel periodo successivo ai precedenti arresti, confermando la continuità dell’attività mafiosa e la sua pervasiva influenza sul tessuto economico del quartiere. Al vertice del sodalizio, spiegano i carabinieri, ci sarebbero i fratelli Michele e Francesco Salvatore Labate, subentrati ai maggiorenti del clan, Antonino (classe ’50) e Pietro (classe ’51), attualmente detenuti e con quest’ultimo ritenuto da sempre il capo carismatico della famiglia.
Il controllo del territorio, sottolineano gli inquirenti, veniva esercitato da Michele Labate attraverso una fitta rete di comunicazioni riservate, incontri in luoghi ritenuti sicuri e l’utilizzo di fedeli collaboratori incaricati di schermare i contatti più delicati. Il figlio Paolo, anche durante la detenzione del padre, avrebbe mantenuto rapporti con imprenditori compiacenti, favorendo l’infiltrazione della cosca in settori redditizi, come quello della grande distribuzione alimentare.
Il ruolo di Antonino Laganà
Nel sistema delineato dagli investigatori, emerge anche il ruolo di Antonino Laganà, che avrebbe avuto il compito di trasmettere messaggi, riscuotere proventi estorsivi, compiere azioni intimidatorie e gestire i rapporti con alcuni esponenti della comunità Rom, per garantire alla cosca un controllo capillare della microcriminalità locale.
Il procedimento è nella fase delle indagini preliminari.