C’è chi sogna a occhi aperti e chi, invece, prova a trasformare i sogni in immagini. Pietro Ichino – per me nome nuovo sulla scena social vibonese – appartiene alla seconda categoria. Nei suoi post su Facebook non ci sono soltanto foto, ma visioni: render, scorci immaginati, prospettive future di un luogo che oggi appare immobile, ma che nelle sue tavole digitali prende vita, si colora, respira.
La fantasia di Pietro Ichino
La fantasia di Pietro Ichino
Vibo Marina, nella fantasia di Ichino, non è soltanto il porto commerciale che conosciamo: è una baia turistica, elegante e moderna, che sa accogliere. Le navi da crociera attraccano in un porto finalmente degno di questo nome, pontili e passerelle affollati da diportisti e turisti in bermuda e cappello, alberghi di lusso, ombrelloni ordinati sulla sabbia e la frescura dei pini marini che accompagnano il lungomare.
Spariscono i depositi
Spariscono i depositi industriali, le petroliere che fumano e oggi ingombrano l’orizzonte e, con essi, il degrado. Le strade diventano viali illuminati, i palazzi si rifanno il trucco, le aiuole sostituiscono i canneti che ostruiscono il passaggio. I vecchi pali dell’illuminazione, piegati e arrugginiti, cedono il passo a lampioni moderni e colorati. E persino l’aria smette di sapere di idrocarburi, per profumare di fiori.
Una città cinematografica
È un’immagine potente, quasi cinematografica, che svela però un’altra realtà: quella di una comunità che non si rassegna. Perché dietro i render patinati di questo giovane c’è un messaggio diretto agli amministratori locali: perché no? Perché Vibo Marina non può davvero diventare così? Perché non trasformare in progetto ciò che oggi è solo un sogno?
Messaggio a chi amministra
Nel racconto social di Ichino – che credo non sia architetto di professione, ma disoccupato, solo innamorato del suo territorio – c’è tutta la frustrazione di chi vive una città bellissima sulla carta, ma spesso trascurata nella realtà. C’è la nostalgia di un mare che meriterebbe rispetto e di un porto che potrebbe essere vetrina del Mediterraneo. E c’è, soprattutto, l’invito implicito a immaginare in grande.
Alla fine, la domanda resta sospesa: se un cittadino qualunque riesce a sognare così in grande, perché chi governa non dovrebbe almeno provarci?