Rinascita Scott, carenza di prove in dibattimento per le assoluzioni eccellenti

I giudici del Tribunale di Vibo Valentia hanno tratteggiato il ruolo dell'avvocato Giancarlo Pittelli e quello riguardante gli altri imputati

Elementi di prova incontestabili, secondo il collegio giudicante del Tribunale di Vibo Valentia. In primo piano la figura chiave del maxiprocesso Rinascita Scott, ovvero l’avvocato ed ex parlamentare di Forza Italia, Giancarlo Pittelli. Il tribunale spiega i motivi della condanna ed inquadra il ruolo del noto penalista come una figura «al servizio» del boss Luigi Mancuso. Pittelli, condannato a undici anni di reclusione, si legge nelle motivazioni tra le altre cose, fornisce «un fondamentale apporto all’attività di vertice offrendo un contributo non causale determinante all’associazione, che opera regolarmente sotto le direttive del boss, anche in un momento di particolare fibrillazione quale quello in cui si diffonde l’inaspettata notizia della collaborazione con la giustizia di Andrea Mantella».

Il ruolo di Pittelli

Il ruolo di Pittelli

«Dagli elementi di prova, letti in maniera organica e non in modo parcellinato, emerge con assoluta evidenza la messa a disposizione nei confronti della cosca Mancuso dell’avvocato, punto di riferimento per la risoluzione delle più svariate problematiche e per il soddisfacimento delle diverse esigenze che via via sorgono nella vita del sodalizio». Secondo quanto tratteggiato dai giudici del Tribunale di Vibo, l’organizzazione criminale è riuscita tramite Pittelli ad ottenere l’intervento dell’agente della Dia di Catanzaro Michele Marinaro che il 14 dicembre 2016 giungerà ad acquisire illegittimamente, sfruttando una situazione di apparente legalità, informazioni sul dichiarato del collaboratore di giustizia Andrea Mantella ancora coperto da segreto istruttorio, l’aiuto del comandante provinciale dei carabinieri di Teramo Giorgio Naselli che terrà costantemente informato Pittelli sull’andamento della procedura amministrativa riguardante la società riconducibile a Rocco Delfino di interesse della consorteria e attraverso il quale il penalista tenterà pur non riuscendovi di far decantare la pratica. E ancora la disponibilità del magistrato della Corte di appello Marco Petrini che si impegnerà a “guardare con cura” la domanda di revocazione avanzata da Rocco Delfino pendente dinanzi al collegio giudicante dallo stesso presieduto, lo “spontaneo” asservimento degli imprenditori che intendono operare significavi investimenti sul territorio di competenza della cosca».

L’assoluzione di Gianluca Callipo

Necessario soffermarsi, sempre da quanto emerge dalle motivazioni, anche su un altro verdetto. Quello di assoluzione nei confronti di Gianluca Callipo, ex sindaco di Pizzo. In questo caso si tratta di spiegazioni che lasciano qualche ombra. I giudici a tal proposito scrivono che il processo «non ha consentito di raggiungere nei suoi confronti, in relazione al delitto di concorso esterno in associazione mafiosa, la soglia probatoria necessaria ai fini di una pronuncia di condanna». Nei confronti di Callipo l’accusa aveva chiesto diciotto anni di carcere. Mentre il verdetto è stato di assoluzione.

Motivazioni su Pietro Giamborino

Ragionamento simile per il Tribunale di Vibo riguardo a Pietro Giamborino, ex consigliere regionale. Per il collegio giudicante «la fase dibattimentale non ha consentito di raggiungere nei confronti di Giamborino Pietro, in relazione al delitto partecipazione in associazione mafiosa o di concorso esterno, la soglia probatoria necessaria ai fini di una pronuncia di condanna dovendo pervenirsi pertanto nei suoi confronti ad una sentenza assolutoria. Dal materiale probatorio esposto – scrivono i giudici – emerge infatti senza dubbio una condotta torbida da parte dell’imputato che ha mostrato di ricercare contatti e rapporti con esponenti della criminalità organizzata sebbene adottasse le numerose e elaborate cautele per nascondere questi legami che avrebbero messo a repentaglio l’immagine di un uomo delle istituzioni integerrimo che si era impegnato a costruire». Giamborino fa «parte verosimilmente di quella zona grigia in cui i clan strizzano l’occhio alla politica e ne pretendono i favori dopo averla assecondata; nondimeno il patto che lo stesso avrebbe stretto con la consorteria criminale e gli impegni assunti dal politico a favore dell’associazione mafiosa che per la giurisprudenza devono presentare il carattere della serietà e della concretezza per rafforzare il sodalizio nel caso di specie si intuiscono ma non si riescono a ricostruire con la dovuta precisione». Infine, nessun contatto di Giamborino con la nuova locale dei Piscopisani da quando lo stesso ha iniziato la carriera politica.

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