È calato il silenzio. Forse meglio tacere che ammettere di avere sbagliato? La risposta per adesso non arriva. A Favelloni di Cessaniti la comunità che si identifica con quella religiosa e cristiana è senza il suo pastore e senza la sua chiesa, quella dedicata a San Filippo d’Agira. E’ stata chiusa dal parroco ad interim don Nicola Berardi. Si celebra messa solo la domenica, gli altri giorni della settimana porte sbarrate.
Una decisione che ha lasciato molti parrocchiani sgomenti e confusi. Forse il motivo di questa decisione è legato ai molti impegni di don Nicola che, ricordiamolo, è anche uno dei cinque vicari di zona nominati dal vescovo Attilio Nostro.
Una decisione che ha lasciato molti parrocchiani sgomenti e confusi. Forse il motivo di questa decisione è legato ai molti impegni di don Nicola che, ricordiamolo, è anche uno dei cinque vicari di zona nominati dal vescovo Attilio Nostro.
I fedeli che trovano conforto nella messa quotidiana e nei momenti di raccoglimento in chiesa si sentono ora smarriti. <La chiesa è sempre stata un rifugio, un luogo dove poter trovare pace e speranza nei momenti più difficili>, dice una signora di mezza età. Mentre un’altra anziana aggiunge: <Non so come faremo senza la nostra guida spirituale quotidiana>.
Sensazione di abbandono
Nel piccolo paese si è diffusa una sensazione di abbandono, come se una parte fondamentale della loro vita fosse stata improvvisamente strappata via. Alcuni stanno già cercando soluzioni alternative, come recarsi nelle chiese dei paesi vicine o gruppetti di preghiera nelle loro abitazioni, soprattutto tra anziani.
In ogni caso la chiusura della chiesa rimane una ferita aperta, simbolo di un cambiamento che la comunità fatica ad accettare, anche se sui social ci si divide perché si temono sempre le strumentalizzazioni. Ma in questo caso l’obiettivo non è il sacerdote, che avrà avuto le sue ragioni ad assumere tale decisione, ma quello di riaprire la chiesa e anche in fretta.
In questi momenti viene in mente il libro dal titolo “Casa d’Altri”di Silvio D’Arzo nel quale un prete di un piccolo paese “non riesce a rispondere alle domande di una vecchietta che gli chiede il senso della vita, delle sue contraddizioni e perché tante volte la Chiesa non riesce ad essere la risposta e il vettore al messaggio cristiano perché paralizzata, sottoposta e obbediente al potere. Per farlo, conclude il libro, bisogna cercare di non essere solo “preti da sagre” ma andare oltre, elevarsi ed incarnarsi nel messaggio messiaco”.
Nel frattempo la comunità resta unita in preghiera, trovando forza nella condivisione del dolore e nella speranza che la fede possa ancora una volta guidarla.