Riceviamo e pubblichiamo la lettera integrale di Domenico Consoli, primario neurologo emerito, sulla situazione sanitaria a Vibo Valentia.
“Tutto ha il suo momento ed ogni evento ha il suo tempo sotto il cielo” (Qo 3,1-11). Questo è il tempo della testimonianza! Nel rendere, preliminarmente, ogni omaggio e ogni rispetto, associati ai sensi del nostro più profondo cordoglio, per gli accadimenti recenti, è opportuna una riflessione sullo stato della nostra sanità. A fronte di una classe politica, fatta salva qualche non trascurabile eccezione, prevalentemente silente, inefficace o ignava, urge una ragionata e precisa valutazione. A fronte di una sanità tradita, sempre meno universale, non equa e disuguale, in spregio alle norme costituzionali giunge, a mio avviso, nella giusta direzione la scelta coraggiosa e onesta del dottor Vincenzo Mangialavori. Dieci, cento Mangialavori; dieci, cento medici pronti a testimoniare la mission della professione medica.
A Vibo medici di livello
Vibo Valentia vanta, in tutta la sua provincia, una classe medica di adeguato livello e a cui è necessario porre fiducia, esprimere solidarietà e compiacimento. Non merita management che, storicamente, abbiano avuto il preminente obiettivo di far quadrare i conti. In un Sistema sanitario nazionale, soprattutto in Calabria, caratterizzato da lunghissimi tempi di attesa, affollamenti dei Pronto soccorso, mancato accesso alle innovazioni, con alta migrazione sanitaria, diseguale, con un incremento costante della spesa privata, con un impoverimento delle famiglie, con una sempre più elevata rinuncia alle cure, la risposta adeguata non può essere quella proposta dai vari commissari regionali per il nostro territorio!
Numeri impietosi
Citerò una serie di dati perché la popolazione ne abbia contezza (dati Gimbe e/o elaborati dall’amico, dottore Soccorso Capomolla).
Aspettativa di vita in buona salute 51,7 in Calabria contro i 69,3 del Trentino Alto Adige; tasso di performance 0.18 contro lo 0.60 della Provincia Autonoma di Trento e Bolzano; adempimento ai LEA (Livelli essenziali di assistenza) del 59,9 in Calabria contro i 67.5 della Puglia, il 93.4% dell’Emilia e il 91,3% della Lombardia – con un saldo negativo al 2021 di 252,4 milioni per mobilità sanitaria, oggi stimato vicino ai 300 milioni, con una percentuale di personale dipendente di 9,7/1000 abitanti -, contro i 17,4 della Valle d’Aosta e i 15,8 della Liguria; 1,91 di medici dipendenti per 1000 abitanti contro i 2,64 della Sardegna, con un numero di medici di base nel 2026 di meno 135 (e questo è il parametro più vantaggioso salvo future contrattualizzazioni regionalizzate come previsto dall’ “autonomia differenziata”).
I più poveri tra i poveri
“Noi i più poveri tra i poveri” con 1,47 posti letto per 1000 abitanti nella provincia di Vibo Valentia, rispetto ai 3,53 di Catanzaro e ai 2,6 di Crotone; con 0.36 letti per post-acuti per 1000 abitanti contro i 1.32 di Crotone e una media regionale di 0.6/1000 abitanti; con 17 strutture complesse (Unità operative ovvero Divisioni o Reparti) contro i 19 di Crotone, i 78 di Reggio Calabria, i 101 di Catanzaro, gli 87 di Cosenza, con finanziamenti per l’ospedalità privata (dati 2018) fino a 60 milioni circa per la provincia di Cosenza, 57 milioni per Catanzaro, 33 milioni per Crotone e 4.780.268 per Vibo Valentia.
A fronte di dati di questo tipo (senza eccedere in commenti), il rituale, consolidato e cronico atteggiamento dei decisori è che a chi più ha più sarà dato, e a chi non ha sarà tolto anche il poco che possiede.
Un circolo vizioso
Il refrain è far quadrare i conti, il che vuol dire che, se non si posseggono i requisiti o le potenzialità per produrre (in assenza di risorse umane o tecnologiche o di strutture adeguate, o un rapporto fiduciale con l’utenza inevitabilmente declinante, o in carenza di una buona organizzazione territoriale come filtro per ottimizzare i posti letto in funzione delle urgenze, anche di non particolare difficoltà gestionale, e in presenza di una rappresentanza politica debole) l’unico intervento consiste nella riduzione dell’offerta assistenziale, favorendo la mobilità di prossimità (quella intra-regionale o presso le regioni con termini, con l’inevitabile conseguenza di un ulteriore successivo depotenziamento).
È un circolo vizioso che si rinnova e si perpetua. In questo potrebbe ravvisarsi, per il passato, la superficialità di alcune Unità operative che non sono entrate o non hanno avuto la possibilità di entrare nei meccanismi aziendali su cui si declinavano decreti regionali ma, verosimilmente, anche compiacenze e tolleranze politiche carenti di adeguata intransigenza gestionale e di governance che hanno alimentato questo volano auto-castrante. Ed ora il conto non può pagarlo né l’utenza né la classe medica attuale.
Serve un cambio di marcia
È indispensabile una totale inversione di tendenza con opportune misure di governance regionale che declini in periferia modelli virtuosi di gestione. Peraltro, non ci si può ergere a giudici improvvisati di comportamenti medici o di esiti clinici se non si è in possesso di tutti gli elementi essenziali di conoscenza degli accadimenti, seguendo narrazioni diverse in funzione del sentito dire e senza correlazioni con percorsi sostenibili sulla base della dotazione di ogni tipo di risorsa (strutturale, umana, tecnologica di percorso quantomeno sterilizzato dal possibile rischio clinico).
Esiste una corretta, implacabile e continua gestione dei processi correlati al rischio clinico; la documentazione di eventi sentinella che possono far affiorare le potenzialità del pericolo e quindi una puntuale, tempestiva e razionale rincorsa a meccanismi di correzione e di ottimizzazione di ogni tappa del percorso. È facile gridare i crucifige sul mal capitato gestore del caso che, per necessità o perché costretto a subire, si trova nell’ineludibile destino (al di là di non escludibili, aprioristicamente, responsabilità personali che auspico remote o effetto e conseguenza di inanellamento di rischio clinico imputabile a inadeguata governance organizzativa) di avere una colpa che non sempre è imputabile al suo adeguato background culturale o a proprie inadeguatezze.
Presa di coscienza forte
Questa, forse, debordante riflessione, potrebbe essere la chiave di lettura della decisione di Mangialavori – a cui, per quel che vale, va la mia personale solidarietà – che mi spinge a sollecitare una presa di coscienza forte e motivata di tutti i colleghi che vorranno far udire a voce alta e senza timore la propria verità, così attivando ambiti di serena agibilità professionale recuperando così anche Mangialavori. I medici non sono carnefici, forse vittime di un sistema da stravolgere e che richiede la comprensione e la solidarietà della popolazione, delle persone “intese come individualità non soggette al giogo delle parti”; delle persone, uomini e donne libere di rivendicare un loro diritto costituzionale, di esigere una sanità equa, uguale ed universale
Domenico Consoli
Primario neurologo emerito