Una giovane mamma e il bimbo che portava in grembo morti per motivi che la magistratura è chiamata a chiarire, il feto morto di una mamma del Mali al quinto mese di gravidanza, le dimissioni del primario facente funzioni di Ginecologia: la bufera s’abbatte ancora una volta sulla sanità vibonese e genera rabbia, preoccupazione, sconforto. Sorgono spontanei tanti dubbi, tante domande, tante richieste di verità. La gente, che pure non è esente da colpe perché nel tempo non ha mai manifestato con forza la sua indignazione, ora vuole sapere, vuole capire.
Una sola verità
Lo scenario, però, non cambia. I protagonisti sono sempre gli stessi. Investiti dal maltempo provano a smarcarsi, a scaricare sugli altri le proprie responsabilità dimenticandosi, magari, che da decenni gestiscono, decidono, condizionano, trascurano. Poi, all’improvviso, la musica cambia, le stonature vengono a galla e non basta buttare la palla nel campo degli altri per salvarsi il fondo schiena. La verità è solo una: lo sfascio della sanità vibonese è figlio di un sistema che ha sempre tutelato interessi di parrocchia facendo scivolare in secondo piano o negando del tutto il diritto alla salute. Una situazione che gli utenti denunciano da sempre senza che nessuno presti attenzione ai loro accorati appelli. Poi, arrivano i ‘guai’ e sulla graticola finisce la commissione straordinaria che gestisce l’Asp (Vittorio Piscitelli, Gandolfo Miserendino, Gianluca Orlando) da appena sette mesi. Una ‘terna’ che di limiti, magari, ne ha tanti (commissari presenti, a turno, in soli tre giorni della settimana; chiusura al confronto con la cittadinanza e con i portatori di idee e progetti, riunioni organizzative con i vari setting al limite dell’inesistenza, implementazione del Pnrr disattesa, audit aziendali assenti), ma che, insediandosi, s’è ritrovata tra le mani patate bollenti non facili da pelare (presunto esubero di personale, questione don Mottola, ecc.) prima di farsi un quadro chiaro della situazione e prendere in mano il bisturi per cominciare a incidere sulle miriadi di falle esistenti nel sistema.
Risorse ‘scippate’
I primi interventi hanno comportato la nomina del direttore sanitario e del direttore amministrativo, a breve dovrebbe arrivare, salvo ripensamenti, quella del direttore del Distretto unico. Sistemata la ‘squadra’, la ‘triade’ non può che puntare ad un’analisi seria dell’esistente. Non basta la sostituzione dei ‘facenti funzione’, bisogna guardare alle prospettive dei risultati, del paziente, dei processi interni e dello sviluppo, valutandole dal punto di vista clinico ed economico. Il territorio vibonese, nel riparto provvisorio e definitivo delle risorse operato dalla Regione, s’è visto assegnare quaranta milioni di euro in meno, nell’indifferenza generale. Uno ‘scippo’ micidiale di fronte al quale, tuttavia, la commissione straordinaria, sino ad oggi, ha opposto solo il recupero dell’equilibrio economico, senza far nulla per segnalare la necessità del tempestivo re2cupero delle risorse. In tutti gli atti prodotti da quando s’è insediata (1619) non c’è traccia di richiesta di adeguamento del fondo. Le conseguenze si riversano sui Lea del tutto inadeguati e che penalizzano pesantemente l’utenza sanitaria.
Carenza personale
E’ compito della commissione appurare perché nel Vibonese risultano 1,86 posti letto per mille abitanti contro i 2,7 di Crotone e i 3 delle altre province calabresi. Capire perché Vibo dispone di 4,6 letti residenziali territoriali per mille abitanti contro i 12 delle altre province. Carenze che alimentano una mobilità regionale ed extraregionale che potrebbe e dovrebbe trovare risposte, almeno in parte, senza andare fuori provincia. C’è anche il non semplice compito di fronteggiare la carenza di personale. In questo caso, la ‘triade’ pare stia già lavorando tenendo presente che Vibo conta 9 risorse per mille abitanti con una percentuale pari a quella delle altre province, ma con la differenza che gli organici dei settori ospedalieri e territoriali sono vistosamente incompleti. C’è un altro aspetto che la commissione straordinaria non può e non deve ignorare: la pochezza della medicina territoriale. I commissari farebbero bene a viaggiare sul territorio e a dedicare un po’ del loro tempo alla conoscenza del Vibonese. Scoprirebbero un patrimonio culturale e paesaggistico invidiabile, ma anche tante realtà sanitarie ferme al palo, ma che potrebbero decollare in presenza di interventi ben mirati e del tutto possibili.
Fondi restituiti
L’inefficienza della medicina territoriale comporta il sovraffollamento del pronto soccorso dello Jazzolino con codici bianchi e codici verdi a migliaia. In media circa il 60% delle persone che arrivano al pronto soccorso vengono dopo qualche ora dimessi e rimandati a casa. A soffrire per l’intasamento del pronto soccorso è anche il personale medico costretto a bruciare tempo prezioso per assistere persone con lievi malesseri a discapito dell’assistenza ai malati più seri. A fronte dei tanti disagi, si assiste alla restituzione di fondi alla Regione anziché riversarli sui Lea evitando che i pazienti siano costretti a pagarsi le cure devastando i bilanci familiari. Si assiste, e questo non può essere accettato da una commissione antimafia impegnata nella gestione, al blocco dei flussi economici aziendali verso le strutture fornitrici di servizi nonostante la Regione provveda puntualmente ai ratei mensili. Problemi piccoli e grandi da seguire con attenzione, così come con attenzione vanno seguiti i cantieri di Ospedali di Comunità e Case di Comunità, nonché la piena funzionalità delle Cot di Pizzo e Nicotera già operative, ma impossibilitate a lavorare al meglio perchè l’Asp continua a non mettere a loro disposizione, acquistandole, le prestazioni delle strutture esistenti sul territorio.
Prospettive di sviluppo
Decisamente, è tempo di cambiare pagina. E’ necessario creare prospettive di sviluppo per evitare l’annientamento dell’Asp e del suo patrimonio professionale ormai allo sfinimento per il mancato aggiornamento tecnologico, il mancato espletamento di avvisi e concorsi, l’assenza di un piano formativo annuale per il 2025. Il Piano delle attività per l’anno in corso appare, more solito, svincolato dalla realtà, non evidenzia strategie aziendali per migliorare i Lea carenti sul territorio, elenca obiettivi senza indicare i percorsi per raggiungerli. Occorre cominciare a rivendicare risorse adeguate (il commissario Gandolfo Miserendino, responsabile di Azienda zero, in questo caso potrebbe fare molto); dotare l’Asp di un management qualificato, coeso e presente; riefficientare l’organizzazione interna; aprire l’Asp al confronto con sindaci, associazioni, ordini professionali e maestranze non solo per avviare un piano di rilevamento e soluzione delle criticità, ma anche per ridare dignità al territorio e a tutto il sistema sanità. Obiettivo questo prioritario per una commissione straordinaria, che deve anche adoperarsi per eliminare le sacche di discrezionalità confinando gli spazi strategici di quella zona grigia che consente il radicamento di fenomeni oggi alla base del commissariamento dell’Asp.
Costituzione da rispettare
Se tutto questo non avviene, la ‘terna’ brucerà l’essenza del suo mandato. L’Asp non ha bisogno di ragionieri che badino solo al riequilibrio economico tagliando ulteriormente le già grame risorse esistenti – l’Azienda dispone di circa sessanta milioni anni, ma, se necessario, può attivare le procedure per attingere dai fondi della gestione sanitaria accentrata che in cassa dispone di oltre 300 milioni – ha, invece, bisogno di rappresentanti dello Stato capaci di difendere gli interessi della sanità vibonese e di rivendicare la restituzione delle risorse sottratte al nostro territorio durante 15 anni di Piano di rientro gestiti da commissari statali privi di visione. Non è più tollerabile perdere risorse per l’incapacità di definire in maniera adeguata e corretta il fabbisogno del territorio. E’ eticamente riprovevole il declassamento di un Lea (vedi Piano per l’autismo) a prestazione socio-assistenziale. In realtà, il contornarsi di mediocrità rende la vita ordinaria più facile, ma comprime la capacità di governance e penalizza la sicurezza sanitaria. L’Asp non ha bisogno di pannicelli caldi né di anticorpi provvisori e inefficaci, bensì di una gestione clinica ed economica incisiva, nonchè in grado di garantire l’applicazione dell’art. 32 della Costituzione che “tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti”.