Cancelli sbarrati e catenacci arrugginiti indicano l’inaccessibilità ai siti archeologici che compongono il Parco urbano diffuso della città. Dalle mura greche all’area sacra del Cofino fino a quella di Sant’Aloe, oltre le sbarre regnano sovrane sterpaglie ed erbacce che ricoprono i preziosi reperti. Quasi impossibile notare le tracce della storia millenaria della città che, in alcuni casi, restano in totale anonimato: ad esempio la segnaletica installata all’ingresso dei mosaici è nascosta da lamiere che delimitano il cantiere dei lavori di ristrutturazione della scuola adiacente. Disinteresse, almeno apparentemente, per le sorti del patrimonio archeologico di Vibo Valentia: ad alimentare l’incuria e l’abbandono dei siti, il silenzio delle istituzioni e la rassegnazione della comunità che ha potuto ammirare da vicino le bellezze risalenti al periodo greco e romano esclusivamente in rare occasioni. Una storia che è l’emblema dei ritardi, della burocrazia e delle avversità che hanno condizionato dapprima l’intera fase dei lavori di recupero e restauro (finanziati dai fondi ministeriali per un valore di 3 milioni di euro) e poi la fruibilità di questi luoghi che compongono le tappe di un percorso articolato e che ha tutte le potenzialità per costituire un’attrattiva unica della città.