Terreni agricoli inquinati, i carabinieri bloccano un sistema pericoloso

Nel mirino un'azienda operante nel settore del recupero dei rifiuti organici provenienti dalla raccolta differenziata. Riscontrata la condotta illecita di diversi soggetti

Tonnellate di prodotto, qualificato come fertilizzante, ma costituito in realtà da rifiuto smaltito illecitamente sui terreni agricoli delle province di Vibo Valentia, Catanzaro e Reggio Calabria. Ruota intorno a questa ipotesi di inquinamento ambientale l’indagine condotta dai Carabinieri dall’Aliquota Operativa del Nor di Serra San Bruno unitamente al Nipaaf dei Carabinieri Forestali di Vibo Valentia coordinati dal Procuratore della Repubblica Camillo Falvo e da un sostituto co-titolare del procedimento.

Al centro dell’attività investigativa il ciclo di trasformazione dei rifiuti effettuato all’interno di un impianto di recupero vibonese.  Un’attività investigativa che già tra il marzo e il novembre del 2021, attraverso intercettazioni, campionamenti e controlli, aveva portato al deferimento di undici persone e alla segnalazione di tre società per responsabilità penali ed amministrative.

Al centro dell’attività investigativa il ciclo di trasformazione dei rifiuti effettuato all’interno di un impianto di recupero vibonese.  Un’attività investigativa che già tra il marzo e il novembre del 2021, attraverso intercettazioni, campionamenti e controlli, aveva portato al deferimento di undici persone e alla segnalazione di tre società per responsabilità penali ed amministrative.

L’azienda sita nell’entroterra vibonese, operante nel settore del recupero dei rifiuti organici provenienti dalla raccolta differenziata, avrebbe dovuto produrre ammendante compostato misto. La stessa di fatto, non rispettando la procedura prevista all’interno dell’autorizzazione integrata ambientale, generava un prodotto che non aveva perso la qualifica di rifiuto, contente plastiche, vetri e metalli, anche pesanti come il cromo esavalente ed andando ad inquinare irrimediabilmente i terreni agricoli ove lo stesso veniva spanso.

Il procedimento produttivo, inoltre, veniva effettuato all’interno di capannoni, i cui portelloni sarebbero dovuti restare chiusi; di fatto l’attività veniva svolta mantenendo gli stessi aperti, non consentendo il corretto utilizzo dei filtri e determinando l’inquinamento dell’aria a causa delle polveri e delle emissioni immesse in atmosfera.

 L’indagine ha consentito di cristallizzare la presunta condotta illecita di diversi soggetti, attuata attraverso attività decisionali, esecutive e materiali, connesse alle posizioni e alle funzioni, apicali e non, rivestite all’interno della stessa azienda. Nel mirino degli investigatori sono finiti anche un dirigente della Regione Calabria e

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