Dieci anni. Tanto è servito perché il nome “San Leonardo” tornasse a comparire non in una brochure turistica, ma in un avviso d’asta, in programma oggi 30 ottobre. Un decennio trascorso tra faldoni, decreti e promesse di rilancio mai mantenute. È la storia di un complesso che doveva essere il fiore all’occhiello dell’accoglienza vibonese e che invece è diventato il simbolo di una lentezza giudiziaria che ha congelato per anni ogni prospettiva di rinascita.
La richiesta di concordato
La richiesta di concordato
Era il maggio del 2015 quando la società San Leonardo srl, ormai in crisi e con le luci spente da mesi, bussò alle porte del Tribunale di Vibo Valentia chiedendo di essere ammessa a concordato preventivo. L’obiettivo dichiarato era nobile: salvare il salvabile, vendere, pagare tutti, rialzarsi. Il tribunale di Vibo Valentia, due mesi dopo, accolse la richiesta e nominò un liquidatore per procedere alla cessione dei beni. Tutto sembrava avviato. Ma poi – come spesso accade da queste parti – il tempo si è fermato. In quel decreto del luglio 2015 c’erano già scritte tutte le mosse successive: vendita competitiva, liquidazione del patrimonio, soddisfazione dei creditori. Un piano che sulla carta avrebbe dovuto chiudersi entro il 2018. E invece, solo oggi, nel 2025, il complesso San Leonardo approda davvero sul mercato, pronto per essere messo all’asta. Dieci anni dopo.
Un gigante addormentato
Nel frattempo, l’edificio è rimasto lì: un gigante addormentato alla periferia di Vibo, chiuso, inaccessibile, immobile come la procedura che lo riguardava. Nessuna offerta, nessuna trattativa conclusa, nessun rilancio. Il tempo ha fatto il resto: muri che ingialliscono, serrande abbassate, un patrimonio che si svaluta e perde il suo valore lentamente nell’indifferenza generale. Eppure, bastava leggere tra le righe del decreto per intuire che il futuro del San Leonardo sarebbe stato lungo e incerto. La prima proposta d’acquisto – quella della Tre Cip srl, disposta a versare cinque milioni di euro – non andò mai in porto. Da allora, solo atti formali, adempimenti, verbali. L’ordinaria amministrazione della burocrazia giudiziaria, che nel frattempo è riuscita a impiegare dieci anni per arrivare al punto di partenza: la vendita all’asta.
Un piano di risanamento
Così, quello che doveva essere un piano di risanamento si è trasformato in un racconto di attesa infinita. Nel frattempo, il territorio ha perso un’altra opportunità, un’altra struttura turistica, un altro pezzo della sua identità economica. Oggi il nome “San Leonardo” torna sulle carte, ma non come promessa: come occasione mancata. E mentre l’asta si prepara a restituire al mercato ciò che per dieci anni è rimasto chiuso, resta l’amara sensazione che il tempo – in questa provincia – scorra con una lentezza tutta sua. Quella che logora le speranze, ma non cancella la responsabilità di chi avrebbe dovuto agire molto prima.
