I carabinieri del Nucleo Investigativo del dipendente Reparto Operativo, supportati da quelli dello Squadrone Eliportato Cacciatori Calabria di Vibo Valentia, hanno arrestato, in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal gip del Tribunale di Crotone, quattro persone, familiari del defunto Francesco Chimirri, individuate quali presunte responsabili dell’efferato pestaggio, commesso ai danni del vice ispettore della polizia Giuseppe Sortino, 7 ottobre scorso. Sono indagate, a vario titolo, per “tentato omicidio, aggravato”, “lesioni personali pluriaggravate”, “resistenza e violenza a un Pubblico Ufficiale in concorso”, “porto delle armi o degli oggetti, atti a offendere, in concorso” e “danneggiamento, aggravato”.
La ricostruzione
La ricostruzione
In particolare, l’autorità giudiziaria, accogliendo le risultanze delle investigazioni, condotte dagli operanti sotto la direzione della Procura della Repubblica del Capoluogo, ha ritenuto rilevanti gli indizi di reità a carico degli arrestati, i quali, lo scorso 7 ottobre, senza alcun motivo, avrebbero proditoriamente aggredito Sortino, il quale, mentre si stava recando alla Questura di Crotone, dove avrebbe dovuto intraprendere il preordinato servizio, aveva notato un’autovettura, che stava percorrendo la Statale 106 a una velocità elevatissima, con un andamento potenzialmente pericoloso per gli altri utenti della strada e che aveva già cagionato due lievi collisioni con altrettanti veicoli, decidendo di seguirla e fermandosi nella via Don Giuseppe Puglisi del quartiere Lampanaro di Crotone, dove, dopo aver richiesto agli occupanti del veicolo – identificati nel defunto, Francesco Chimirri, e nel figlio – delle delucidazioni sulla condotta di guida e d’identificarsi, è stato dagli stessi inizialmente percosso, anche mediante l’utilizzo del suo sfollagente, in dotazione individuale, che aveva adoperato solo per difendersi dal brutale pestaggio per farli desistere.
Nel prosieguo dell’evento, minuziosamente ricostruito dalle immagini delle telecamere di videosorveglianza private, immediatamente acquisite dagli operanti, dai video, realizzati da alcuni privati cittadini e “postati” sul social network Tik Tok, che avevano assistito all’evento dalle loro abitazioni, e dalle testimonianze, rese dagli altri soggetti, in grado di riferire sui fatti, si è appurato che il poliziotto, prima percosso solo da Francesco Chimirri e dal suo figlio, era stato, successivamente, raggiunto, anche dagli altri tre loro familiari, destinatari dell’odierno provvedimento, che hanno proseguito nella loro azione, in diverse fasi, cagionandogli delle lesioni gravissime, che, solo per un mero caso fortuito e accidentale, non hanno condotto al suo decesso, nonché, uno di essi, imbracciando la sua pistola, con cui aveva poco prima aveva attinto mortalmente uno degli aggressori, Francesco Chimirri, e tentando di sparargli, quando era per terra e in ginocchio.
L’identificazione dei destinatari dell’odierno provvedimento è avvenuta, dapprima, grazie alla tempestività dell’intervento sul posto e all’immediata acquisizione delle più importanti fonti di prova video, venendo successivamente corroborata e arricchita dal contestuale meticoloso lavoro di comparazione sia fotografica che di ricostruzione dei fatti al secondo, anche mediante delle intercettazioni telefoniche degli indagati, effettuate dai carabinieri del Nucleo Investigativo del dipendente Reparto Operativo, che hanno documentato l’esatta dinamica della vicenda, appurando come, già dall’inizio della colluttazione, provocata da due dei presunti rei, il vice ispettore si fosse qualificato come un appartenente alle Forze di Polizia e gli stessi, nonostante ciò, avessero proseguito nella loro azione, tentando finanche di ucciderlo e danneggiando irreparabilmente il suo apparecchio cellulare, dal quale, però, con l’ausilio di un consulente tecnico, nominato dalla Procura della Repubblica di Crotone, sono state recuperate delle fonti di prova indispensabili.
Al termine delle procedure di rito, i quattro familiari di Francesco Chimirri sono stati tradotti in carcere e messi a disposizione dell’autorità giudiziaria, emittente del provvedimento cautelare.