Alluvione, gli agricoltori lametini avvertono: questo territorio non può tornare a essere una palude (video)

I margini del fiume Amato rispecchiano l’incuria e le carenze della gestione del drenaggio e delle infrastrutture

E’ passato circa un mese ma la cicatrici dell’alluvione sul territorio lametino sono ancora evidenti. Campi sommersi, raccolti compromessi e terreni resi incoltivabili da fango e detriti sono solo alcune delle conseguenze di quest’ultimo evento che si aggiunge a quello più massiccio del 2018 che aveva colpito tutto il territorio industriale e provocato la morte di una mamma con i suoi due figli.

Un altro disastro dopo sei anni

Un altro disastro dopo sei anni

“Nel 2018 ahimè abbiamo avuto un’altra alluvione al seguito della quale abbiamo dimostrato oltre un milione di euro di danni e dopo cinque anni abbiamo avuto il riconoscimento di meno del dieci percento del danno provato -ha dichiarato Maria Grazia Milone- L’esperienza del 2018 non è servita a nulla perché ci siamo fatti trovare impreparati nuovamente.”

Secondo i dati diffusi dalle associazioni di categoria, le perdite nel settore agricolo si stimano già anche questa volta in milioni di euro. Coltivazioni spazzate via in poche ore dalla furia di fango, acqua e vento, vanificando mesi di lavoro e di investimenti. A rischio non c’è solo l’economia delle aziende agricole colpite, ma l’intero comparto agroalimentare, con effetti a cascata sui prezzi e sull’approvvigionamento di alcuni prodotti.

Fiume Amato, il grande pericolo

I sistemi di drenaggio e le infrastrutture idriche si sono rivelati insufficienti a causa della scarsa e a tratti assente manutenzione. Un bosco costeggia il margine del fiume Amato, un bosco fatto di alberi da un lato e di canneto dall’altro, il tutto incorniciato da metri di terreno fangoso, che sembra si regga in piedi a stento, pronto a invadere nuovamente ogni terreno limitrofo e tutto ciò che lo abita.

L’impatto delle alluvioni sul suolo agricolo non si limita ai raccolti: l’acqua stagnante provoca il deterioramento del terreno, ne altera la composizione chimica e distrugge i microrganismi essenziali per la fertilità. Inoltre, la forza delle correnti trascina via il primo strato di humus, impoverendo ulteriormente i terreni. In molte aree colpite, serviranno anni per ripristinare le condizioni ottimali per la coltivazione.

I canali restano ostruiti

Tra le misure richieste ci sono il potenziamento degli argini, la manutenzione dei canali di scolo e una pianificazione urbanistica più attenta ai rischi idrogeologici. “Molti letti, molti canali, molti corsi d’acqua sono ancora abbandonati a se stessi come un po’ è abbandonato complessivamente il territorio credo che ci sia la necessità di rimettere l’attenzione su quello che è un territorio bellissimo ma fragile – ha detto Mario Maiorana – quindi vanno programmati interventi che non possono essere di emergenza come avviene ogni volta, anche perché costa molto di più che agire in prevenzione.”

La Piana tornerà una palude

Le alluvioni mettono in luce, ancora una volta, l’urgenza di affrontare il cambiamento climatico e la gestione precaria del territorio non solo con azioni di mitigazione, ma con strategie di adattamento che evitino ulteriori disastri. “La piana di Lamezia era una palude – ha spiegato Raffaele Sonni – se non gestiamo i fiumi tornerà a essere una palude.” Il settore agricolo, da sempre pilastro dell’economia italiana, non può permettersi di affrontare un’altra stagione sotto il peso di emergenze non gestite che rischiano di abbattersi come l’ennesimo duro colpo sull’intero comparto economico fondante l’economia della regione.

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