Una decisione “semplice”, ma talmente forte da regalare una speranza a cinque persone e la vista ad altre due. Una decisione “semplice”, come l’ha spesso definita Reginald Green, presa dalla sua famiglia, ovvero di donare gli organi del piccolo Nicholas, ferito a morte il 29 settembre del 1994 durante un tentativo di rapina sull’autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria, tra gli svincoli di Serra e Mileto nel tratto vibonese, mentre erano in vacanza in Italia: la loro piccola utilitaria fu scambiata per quella di un gioielliere e per questo crivellata di colpi d’arma da fuoco. Portato al policlinico di Messina in condizioni disperate, Nicholas, 7 anni, morirà l’1 ottobre.
Il dramma che aprì la strada alle donazioni
Quasi immediata la decisione “semplice” di questa famiglia statunitense, di mamma Margaret che la propose al marito Reginald trovando immediato sostegno, appena i medici diedero la conferma che ormai non ci sarebbe stato più nulla da fare. La scelta della famiglia Green cambiò quella che in Italia era una prassi scarsamente consolidata, ovvero la donazione degli organi. Un evento che fece scalpore, che colpì l’opinione pubblica, che contribuì a sensibilizzare l’opinione pubblica al punto da far aumentare vertiginosamente le donazioni in tutto il Paese.
Il documentario
La storia della tragedia che ha colpito la famiglia Green e della decisione “semplice” diventata “Effetto Nicholas”, un documentario, prodotto da Endemol Shine Italy in collaborazione con RaiDocumentari, sarà trasmesso il 27 giugno su Rai2. Il documentario è stato ideato e scritto da Carmen Vogani con Lorenzo Avola, con il contributo del fondo per lo sviluppo degli investimenti nel cinema e nell’audiovisivo.
“Effetto Nicholas” è il racconto dove la parte “crime” è inevitabilmente toccata essendo la causa scatenante di tutta la storia. Ma dove ad emergere sono la sensibilità e la dolcezza, unite a una grande forza di una famiglia che non si è lasciata sopraffare dal dolore, dalla rabbia ma che anzi li ha trasformati in altruismo e insegnamenti per tutto il resto del mondo. La breve vita del piccolo Nicholas, la sofferenza della sorellina Eleanor, che aveva solo 4 anni e che non ha avuto la gioia di crescere con il fratello. E poi Reginald e Margaret, il significato di un gesto come il loro.
La vita di migliaia di persone
‘Effetto Nicholas’ non lascia indifferenti, mette sul piatto cosa significa scegliere di donare e cosa vuol dire vivere un dono così forte e necessario per chi ne ha bisogno per avere una seconda occasione. Ricevere un organo significa rinascere, avere una nuova vita in cui tanti problemi si riducono a sfumature di una quotidianità che cambia radicalmente. Arrivi ad un punto in cui quasi ti manca perfino quella malattia che prima era una compagnia indesiderata, fin quando comprendi che quella potrà di nuovo essere la tua normalità. Non nell’immediato, però. Servono tempo e pazienza, anche da parte di chi vive indirettamente il dolore prima, la seconda chance poi.
Agli occhi del mondo sembrerai tornato quello di un tempo, ma sarà proprio il fattore tempo per rientrare nel pieno di una normalità. Quella decisione “semplice” di questa famiglia statunitense che, nonostante tutto, ha continuato ad amare profondamente l’Italia, è stata una scelta che ha contribuito, direttamente o indirettamente, a ridare vita non solo a cinque persone, oltre alla vista ad altre due, ma anche a migliaia di persone in Italia. Grazie, famiglia Green.
Educare alla donazione
L’uscita del documentario ‘Effetto Nicholas’, “è molto importante” e anzi andrebbe fatto vedere anche “nelle scuole”. A spiegarlo, all’agenzia Dire, la dottoressa Silvia Maria Pulitanò, Coordinamento donazione organi e tessuti a scopo di trapianto – Fondazione Policlinico Gemelli – Roma. Il documentario racconta la tragedia che ha colpito la famiglia Green il 29 settembre 1994, in arrivo dagli Stati Uniti in vacanza in Italia, quando durante un tentativo di rapina sull’autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria la loro piccola utilitaria fu scambiata per quella di un gioielliere e per questo crivellata di colpi d’arma da fuoco. Portato al policlinico di Messina in condizioni disperate, Nicholas morirà l’1 ottobre a soli 7 anni. Quella tragedia portò in Italia una vera e propria rivoluzione culturale, raccontando l’evoluzione dei trapianti d’organi nel nostro Paese.
Per la dottoressa Pulitanò nel nostro Paese, a proposito del tema trapianti “servirebbero ancora molte più informazioni. Bisognerebbe iniziare con le scuole” proprio per parlare di un argomento delicato come “la cultura del dono” e per questo “l’uscita del documentario è molto importante e spero che verrà fatto vedere anche nelle scuole, per far capire l’importanza di questo atto, che deve essere consapevole, volontario. Un gesto di amore che porta speranza a molte altre persone”.
Il dramma e la giustizia
Il delitto di Nicholas Green è rimasto per anni uno dei casi più controversi della cronaca giudiziaria calabrese. Una storia di dolore, dubbi giudiziari e richieste di verità che continua a suscitare interrogativi. Nel 1995, la Procura di Vibo Valentia mette sotto indagine Francesco Mesiano, allora ventiduenne, e Michele Iannello, ventisettenne, entrambi originari di Mileto (Vibo Valentia), accusandoli di essere i responsabili dell’omicidio del piccolo Nicholas. Il processo si apre due anni dopo, nel 1997, presso la Corte d’Assise di Catanzaro, (con la Procura di Vibo Valentia all’epoca guidata dal procuratore Alfredo Laudonio) che però assolve i due imputati per insufficienza di prove.
Il processo e le condanne
La vicenda non finì lì. L’anno successivo, nel 1998 – (annota lanuovacalabria.it) la Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro ribalta il verdetto, condannando Mesiano a 20 anni di reclusione e Iannello, ritenuto l’esecutore materiale dell’omicidio, all’ergastolo. La condanna venne poi confermata in via definitiva dalla Corte di Cassazione, chiudendo, almeno formalmente, il capitolo giudiziario del caso. Ma neanche questo è stato sufficiente per spazzare via le ombre. Nonostante la condanna, entrambi gli imputati hanno sempre dichiarato la propria innocenza. Michele Iannello, in particolare, ex affiliato alla ‘ndrangheta, negli anni successivi decide di collaborare con la giustizia, confessando vari delitti legati all’organizzazione criminale. Tuttavia, nonostante la sua collaborazione, ha continuato a professarsi innocente riguardo al delitto di Nicholas Green, arrivando persino ad accusare il proprio fratello di essere il vero responsabile dell’omicidio.
L’archiviazione del caso
I suoi legali chiesero la riapertura del procedimento. Le sue rivelazioni portarono la Procura della Repubblica di Vibo Valentia a riaprire un’inchiesta sul caso, ma l’indagine si concluse con l’archiviazione, lasciando ancora una volta la vicenda avvolta da un alone di mistero. (Dire – www.dire.it)