A Capo della ’ndrangheta vibonese c’era Luigi Mancuso. Figura carismatica della criminalità organizzata. Concetto che conferma ancora una volta l’unitarietà della potente organizzazione criminale su tutto il territorio. E’ il filo conduttore delle motivazioni contenute nelle circa 1600 pagine depositate dalla Corte d’Appello di Catanzaro relativamente al processo a carico dei 67 imputati coinvolti nella maxi operazione denominata Rinascita Scott che hanno scelto di essere processati con il rito abbreviato. I giudici di secondo grado che di fatto hanno confermato le sentenze emesse dal gup nel verdetto del 30 ottobre scorso hanno di fatto confermato <l’esistenza di un sistema unitario associativo e di regole comuni e gerarchie non è in contrasto con le possibili guerre interne alle singole articolazioni…
Il verdetto dei giudici
Il verdetto dei giudici
Le motivazioni tratteggiano le posizioni dei singoli imputati, in particolare quelli nei confronti dei quali sono stati inflitti pene pesanti. Su tutti Pasquale Gallone, il braccio destro del boss Luigi Mancuso (condannato a 30 anni di reclusione in primo grado nel processo Petrolmafie), e Domenico Macrì, l’aspirante boss di Vibo, ritenuto il capo dell’ala militare della cosca Pardea-Ranisi, al 41 bis con 19 anni e 10 mesi da scontare. Tra le assoluzioni “eccellenti” sui i quali i giudici si soffermano a lungo quelle di Michele Fiorillo, detto “Zarrillo” di Piscopio e dell’impiegata del Tribunale di Vibo Carmela Cariello che in primo grado erano stati condannati rispettivamente a 5 e a 4 anni e 6 mesi.
Dinasty punto di riferimento
Le motivazioni del filone abbreviato di Rinascita Scott riconoscono il ruolo apicale di Luigi Mancuso. La sua figura era già emersa nei processi “Tirreno” e “Mafia delle tre Province”, in cui sono stati esaminati i rapporti tra la ’ndrangheta reggina e quella del vibonese. In “Tirreno” Mancuso e il nipote Peppe ’mbrogghja figuravano promotori e dirigenti della consorteria; nella sentenza “Dinasty” si dà atto di come il clan Mancuso “si regga su legami familiari, che rappresentano l’elemento di coesione principale, sia all’interno della cosca (e nonostante gli accertati contrasti tra frange della stessa famiglia), sia all’esterno della stessa. La forza del sodalizio e il suo ruolo egemonico nella ‘ndrangheta vibonese emergono anche dalla sentenza emessa nel processo “Rima”, che ha accertato per la prima volta l’esistenza della cosca dei Fiarè-Razionale di San Gregorio d’Ippona, stretta alleata dei Mancuso”. Inoltre, anche il collaboratore storico Michele Iannello annoverava già nel 2002 Luigi Mancuso tra i tre perni principali dell’associazione (con Antonio e Peppe Mancuso).