Sette anni e due mesi di reclusione. È la condanna inflitta a Rosita Grande Aracri, 42 anni, figlia di Francesco Grande Aracri, ritenuto il capo della cosca di Brescello, e nipote dello storico boss di Cutro Nicolino Grande Aracri, già ergastolano. La sentenza è stata pronunciata dalla giudice per le udienze preliminari del Tribunale di Bologna, Roberta Malavasi, al termine del giudizio abbreviato nell’ambito del procedimento denominato “Grimilde bis”, filone dell’inchiesta che ha acceso nuovamente i riflettori sul radicamento della ‘ndrangheta in Emilia-Romagna.
Un ruolo attivo
Un ruolo attivo
La pena, disposta in continuazione con una precedente condanna, è leggermente inferiore agli otto anni di reclusione chiesti lo scorso maggio dalla pubblica ministera della Direzione distrettuale antimafia di Bologna, Beatrice Ronchi. Secondo l’accusa, Rosita Grande Aracri avrebbe avuto un ruolo attivo nella rete familiare ed economica riconducibile alla cosca, contribuendo a mantenerne la struttura e le relazioni funzionali al controllo del territorio emiliano. La 42enne era l’unica imputata ad aver scelto il rito abbreviato, che prevede la riduzione di un terzo della pena. Gli altri indagati coinvolti nel procedimento proseguono con il rito ordinario.
Aemilia e Grimilde
Il processo “Grimilde bis” – ribattezzato “Cutrello” in riferimento al presunto legame tra Cutro e Brescello – rappresenta una prosecuzione delle indagini che negli ultimi anni hanno documentato l’espansione delle cosche calabresi nel Nord Italia, a partire dalle inchieste “Aemilia” e “Grimilde”. La decisione del Tribunale di Bologna conferma, ancora una volta, la solidità dell’impianto accusatorio della Direzione distrettuale antimafia, e la persistenza del radicamento del clan Grande Aracri, capace di mantenere nel tempo una rete di rapporti e interessi ben oltre i confini della Calabria.