I depositi costieri o, meglio, la storia dello stabilimento di Meridionale Petroli. Una presenza ingombrante e tossica che da decenni occupa il cuore del porto di Vibo Marina. Ne abbiamo scritto, riscritto, analizzato documenti, raccontato indagini, riportato dati e prese di posizione. Abbiamo dato voce ai cittadini, agli ambientalisti, ai comitati, a chi – a vario titolo – chiedeva solo una cosa: delocalizzare. Eppure, oggi, l’argomento sembra evaporato nell’indifferenza generale. È calato il silenzio. Un silenzio pesante, come l’odore dei carburanti che continua a mescolarsi all’aria del porto, ai fumi dei camion, alla rassegnazione di una città che da troppo tempo vive con lo sguardo basso, abituata all’idea che nulla possa cambiare.
Concessione in scadenza
Concessione in scadenza
La concessione della Meridionale Petroli scade il 31 dicembre. Ma l’impianto continua a funzionare come se nulla fosse. Quel deposito di carburanti, incastonato nel cuore del porto, riceve idrocarburi dalle raffinerie siciliane, li stocca e li distribuisce. Le petroliere continuano ad attraccare, le autocisterne a partire. Tutto regolare, tranne la logica. Nel frattempo, l’impianto è stato persino posto sotto sequestro per mesi dalla Procura della Repubblica di Vibo Valentia per inquinamento e violazioni alle norme sulle emissioni. Le prescrizioni imposte sono state “tamponate”. Tutto è rientrato nella legalità formale ma tutto resta come prima: una realtà industriale incompatibile con un territorio che – almeno sulla carta – dovrebbe vivere di turismo e ambiente. E nonostante le indagini, nonostante le violazioni accertate, l’azienda ha chiesto all’Autorità Portuale di Gioia Tauro il rinnovo ventennale della concessione. Una richiesta che l’Autorità ha persino messo nero su bianco con un avviso pubblico, poi impugnato al Tar di Reggio Calabria da un operatore turistico della zona per “evidenti violazioni”. I giudici hanno rimandato tutto all’udienza di merito fissata per marzo 2026. Nel frattempo, tutto resta com’è. Come sempre.
Una petizione che grida nel vuoto
Nel frattempo, mentre le istituzioni tacciono, resta in piedi la petizione lanciata da Cesella Gelanzé, cittadina che ha avuto il coraggio di riportare il tema al centro del dibattito pubblico. In pochi mesi sono state raccolte circa mille firme, chiede una cosa semplice: non rinnovare la concessione ventennale, ma concedere solo un periodo transitorio per trasferire l’impianto in un’area industriale già individuata. La proposta include anche un’idea di buon senso: far contribuire la Regione Calabria alle spese di trasferimento utilizzando le accise maturate negli anni dalla stessa attività industriale. Una richiesta ragionevole, che intreccia ambiente, lavoro e sviluppo. Eppure, il suo destino è lo stesso di molte buone idee in Calabria: è rimasta lettera morta. “Sono tante le firme raccolte – ha dichiarato Cesella Gelanzé – e aumentano man mano che la gente si informa. Il vibonese ha fame di sviluppo, ma non di questo sviluppo: vogliamo lavoro vero, crescita sostenibile, rispetto per la salute e per il territorio. Non possiamo restare fermi davanti a un modello che puzza di passato.”
La politica che parla d’altro
Intanto la politica continua a guardare altrove. Il Consiglio comunale di Vibo Valentia, all’unanimità, aveva approvato un ordine del giorno bipartisan per avviare il confronto con la Meridionale Petroli e con la Regione in vista della delocalizzazione. Il sindaco ha incontrato i vertici dell’azienda. Ma da quegli incontri sono usciti solo impegni generici, frasi di circostanza e la solita formula: “serve tempo e servono risorse”. Eppure, tutti sapevano che la concessione era in scadenza. Tutti sapevano che la conferenza dei servizi, fissata per metà dicembre, avrebbe rappresentato un passaggio decisivo per il futuro dell’impianto. Eppure, nessuno si è preparato. Nessuno ha programmato. Nessuno fino a oggi ha osato dire: basta.
Lo sviluppo che puzza di anni Cinquanta
Vibo Marina continua a vivere intrappolata in un modello di sviluppo vecchio di settant’anni, quando l’industrializzazione era considerata progresso e il mare una risorsa da sacrificare. La Nuovo Pignone, il cementificio, i depositi costieri: simboli di un’epoca in cui bastavano poche decine di posti di lavoro per giustificare qualsiasi ferita al territorio. Allora, forse, si poteva capire. Oggi, in un mondo che parla di turismo sostenibile, di riconversione ecologica, di transizione verde, Vibo Marina continua a respirare carburante. E mentre altrove si bonificano i porti e si aprono marina turistici, qui si rischia di bloccare ogni progetto di sviluppo perché i combustibili, le petroliere e i fumi fanno ancora parte del paesaggio.
Il prezzo dell’immobilismo
La verità è semplice: il silenzio è diventato complicità. La politica, locale e regionale, sembra aver abdicato al suo ruolo di guida e programmazione. Vibo Marina resta sospesa tra il mare e le cisterne, tra il desiderio di riscatto e l’abitudine alla rassegnazione. Abbiamo raccontato questa storia più volte. L’abbiamo scritta e riscritta, nella speranza che qualcuno la leggesse fino in fondo. Oggi torniamo a farlo perché, ancora una volta, tutto tace.
E nel silenzio, si consuma il destino di una città che potrebbe vivere di turismo e bellezza, ma che continua a morire di inerzia.


