Calabria, la sanità s’aggrava: il Vibonese resta schiacciato nel deserto delle cure

Tra liste d’attesa infinite, ospedali al collasso e l’avanzare inarrestabile del privato, il territorio vive il suo punto più basso: carenze strutturali, medici che scappano e cittadini costretti a rinunciare alle cure

La Calabria osserva se stessa da un crinale sempre più sdrucciolevole, dove il diritto alla cura è diventato un lusso, un percorso a ostacoli che spesso si conclude con una rinuncia. La fotografia impietosa arriva dalla Fondazione Gimbe, ma a raccontarla con la necessaria durezza è stato Giovanni Pastore sulle colonne della Gazzetta del Sud. Un’analisi che non lascia spazio a interpretazioni: la sanità calabrese non arretra, crolla. E trascina con sé interi territori, con il Vibonese che continua a pagare uno dei prezzi più alti.

Ecco chi rinuncia alle cure

Ecco chi rinuncia alle cure

Secondo Gimbe, nel 2024 oltre 180 mila calabresi – il 10% della popolazione – hanno rinunciato alle cure perché non possono permettersele. Non per un’improvvisa diffidenza verso gli ospedali, ma per un sistema che non garantisce più ciò che la Costituzione promette. Un dato che cresce di anno in anno, che racconta un arretramento culturale e sociale prima ancora che sanitario. Le liste d’attesa sono diventate una barriera invalicabile, un muro che respinge, soprattutto qui: nel Vibonese, la provincia più fragile, dove lo Jazzolino cade a pezzi e gli ospedali di Tropea, Serra San Bruno e Nicotera cercano disperatamente di non spegnersi del tutto. Reparti ridotti all’osso, personale insufficiente, posti letto tagliati come se fossero un dettaglio.

La privatizzazione è già realtà

È in questo vuoto che si insinua – e prospera – il privato, che cresce con ritmi vertiginosi mentre il pubblico si inceppa. Non per una strategia, ma per abbandono. Lo certifica Gimbe: non serve cercare un piano occulto di smantellamento del sistema sanitario nazionale, perché la privatizzazione strisciante è già realtà. E la Calabria, schiacciata da questa dinamica, rischia di diventarne il simbolo più evidente. Il dramma vibonese sta tutto qui: in una terra dove l’ospedale principale è da anni oggetto di annunci, promesse, cantieri inaugurati per un selfie; dove la politica, bipartisan nelle responsabilità, preferisce tacere piuttosto che chiedere conto dei fallimenti accumulati.

Un sistema che non cura più

Il risultato è un sistema che non cura più e non rassicura, ma genera sfiducia e fuga: quella dei pazienti, che devono viaggiare per ottenere una visita, e quella dei medici, sempre più rari e schiacciati dalla burocrazia. Gimbe accende un faro, Giovanni Pastore lo traduce in parole, il Vibonese lo vive sulla pelle. La sanità, qui, non è un tema: è un’emergenza strutturale, quotidiana, che non può più essere ignorata. E mentre la Calabria scivola verso una terra di cure negate, la domanda resta la stessa: chi ha il coraggio – e la responsabilità – di fermare questa deriva?

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