C’è una provincia in Calabria dove il diritto alla salute non è semplicemente negato: viene coscientemente ignorato. Una provincia dove i numeri non lasciano spazio a interpretazioni: Vibo Valentia. I dati ufficiali del Dca 302/2025 lo confermano nero su bianco: mentre la media regionale per le prestazioni socio-sanitarie del privato accreditato è di 121 euro a testa, a Vibo ne arrivano appena 48,75. Dall’altra parte, a Crotone, il sistema riversa 239 euro per abitante, cinque volte tanto. È uno squilibrio che in qualsiasi altro contesto verrebbe definito per quello che è: una sperequazione istituzionale senza precedenti.
C’è una provincia in Calabria dove il diritto alla salute non è semplicemente negato: viene coscientemente ignorato. Una provincia dove i numeri non lasciano spazio a interpretazioni: Vibo Valentia. I dati ufficiali del Dca 302/2025 lo confermano nero su bianco: mentre la media regionale per le prestazioni socio-sanitarie del privato accreditato è di 121 euro a testa, a Vibo ne arrivano appena 48,75. Dall’altra parte, a Crotone, il sistema riversa 239 euro per abitante, cinque volte tanto. È uno squilibrio che in qualsiasi altro contesto verrebbe definito per quello che è: una sperequazione istituzionale senza precedenti.
Chi ha bisogno riceve meno
È lo stesso documento regionale a dirlo: Vibo Valentia ha 36.393 anziani (più di Crotone), una quota elevata di fragili e disabili, e un territorio con strutture carenti, percorsi incompleti e mobilità passiva altissima. Eppure, mentre Vibo riceve 201 euro per anziano, Crotone stacca una cedola di 1.071 euro per anziano, oltre cinque volte di più. Siamo davanti a una distorsione che nessun principio sanitario, organizzativo o etico può giustificare.
Ma il dato più impressionante è un altro. Sempre secondo il documento regionale, Vibo riceve 7,3 milioni, ma quando viene perequato per anzianità e disabilità dovrebbe riceverne almeno 18,2 milioni di euro. Questo significa che manca più della metà delle risorse necessarie per assicurare i LEA territoriali. E mentre i cittadini fanno file infinite, viaggiano per curarsi altrove e rinunciano alle cure, la Regione continua a mantenere il sistema così com’è.
Un buco nero programmato
L’analisi del Dca 302 consegna un buco nero programmato: non esiste alcun criterio capitario, né alcun criterio basato sui fragili o sulla disabilità, né un meccanismo perequativo. Il risultato? Per tre anni consecutivi (2025, 2026, 2027) Vibo viene penalizzata del 60%, mentre Crotone viene sovrafinanziata oltre il 100% ogni anno. Tutto confermato dai numeri ufficiali del decreto regionale; nessun meccanismo perequativo, nessun tentativo di aumento dell’offerta sanitaria almeno per il setting già accreditato ed operativo sul territorio, dove i cittadini acquistano di “tasca propria”.
Chi dovrebbe vigilare tace
L’aspetto più inquietante non è soltanto lo squilibrio, ma il silenzio attorno a questa ingiustizia. La stessa Commissione Antimafia aziendale dell’Asp, che avrebbe il compito di vigilare su correttezza, trasparenza e imparzialità, emana lo stato di attuazione della rete territoriale e lascia fuori il setting della riabilitazione estensiva degenziale e a ciclo diurno. Sollevato il problema, invece di correggere ipso facto il vulnus, vengono indette riunioni, richiesti pareri e si attende l’esperto; di converso, nell’attesa, avviene la pubblicazione del Dca 302/2025 per l’attribuzione dei fondi destinati al comparto socio-sanitario — formalizzazione di un’atavica sperequazione verso l’Asp. Nessuno della tecnostruttura Asp ne parla; la triade commissariale non ha sollevato alcuna obiezione, anzi ha condiviso analisi e strategie con la Regione, contribuendo di fatto a ratificare il modello diseguale, considerato che il direttore amministrativo, deus salvifico del territorio, nel maggio ha sollevato la criticità. Anzi, una parte importante della tecnostruttura aziendale ha elaborato e condiviso la ripartizione, accettando ed avallando queste scelte invece di tutelare il proprio territorio. In sintesi, si è perseverato il solito vizietto del “Metti e prendi” dal salvadanaio vibonese. È qui che l’ingiustizia diventa politica e morale, oltre che amministrativa.
Diritto alla salute cancellato
Se un cittadino vibonese necessita di RSA medicalizzata, di riabilitazione estensiva, presa in carico per autismo, hospice o strutture intermedie del Dm 77, previste dal Dca 197/2023, nella sua provincia non li trova. E non li trova non perché non esistono, ma perché non esiste il fondo per acquistare le prestazioni. Se, tuttavia, paga di “tasca propria”, li trova e consuma nel 2023 14.597, e nel 2024 14.205 giornate di degenza. Chi non ha soldi, invece, migra fuori provincia o fuori regione solo per avere un posto letto, con un dispendio che, nel solo 2024, è stato di circa 2,5 milioni di euro per le prestazioni e circa 500 mila euro per la logistica del caregiver e il lavoro mancato. È questo l’effetto di una programmazione che decide chi può curarsi e chi no.
Nessuno interviene
Perché, nonostante tutti conoscano numeri e tabelle, la Regione non modifica il tetto? Perché la commissione interna non denuncia? E ancora: perché l’Asp non confuta ciò che è scritto nero su bianco nel Dca? La risposta ha diverse ragioni: perché un sistema che penalizza i più deboli è più conveniente per chi deve gestire equilibri politici, strutture accreditate e meccanismi storici mai revisionati; perché è difficile analizzare e controdedurre quando si è nello stesso tempo “Controllore e Controllato”; perché anche per la nomina della commissione residua esiste quel cordone ombelicale “politico calabrese” che limita il raggio d’azione necessario ed ineludibile per intervenire e recuperare il senso dello Stato.
Senza un cambio di rotta nella governance, Vibo sarà condannata ad avere meno servizi, meno posti, meno cure, più mobilità, più spesa e, soprattutto, meno diritti. Un management che guardi davvero al bisogno del territorio vibonese, mortificato per tutta la durata del piano di rientro, saprebbe che garantire equità non è una scelta politica: è un obbligo istituzionale. Ricevere cinque volte meno fondi di altre province non è una “difficoltà tecnica”, è una violazione del diritto alla salute; accettare passivamente le decisioni regionali non è prudenza, è corresponsabilità.
Un fallimento che grida vendetta
La sanità vibonese non è vittima del caso, ma di una responsabilità politica che attraversa indistintamente destra, sinistra e centro. Per anni il territorio ha assistito a promesse, inaugurazioni e annunci. Ma quando si è trattato di difendere realmente il sistema sanitario nelle sedi decisionali, nessuno ha agito. I dati confermano un declino costante: meno risorse, meno posti letto, meno investimenti. Mentre in altre province la rete ospedaliera viene potenziata, nel Vibonese continuano tagli, rinvii e chiusure. Il quadro è aggravato dall’inerzia di chi, in teoria, avrebbe dovuto contrastare questo processo.
Le responsabilità non riguardano solo gli schieramenti politici — ieri il centrosinistra, oggi il centrodestra — ma anche la Commissione Antimafia. Un organismo che dovrebbe vigilare sulle criticità dei territori e garantire la presenza dello Stato, ma che è rimasto silente di fronte alla determinazione e pubblicizzazione del riparto di risorse che penalizza pesantemente la provincia. Eppure, la sua posizione istituzionale sovraordinata e indipendente le consentirebbe di intervenire e rivendicare un’equa distribuzione dei fondi. Il crollo della sanità vibonese ha dunque responsabilità precise e trasversali.
Il tavolo in Prefettura
L’imminente incontro di tutti gli attori al tavolo prefettizio potrà costituire il banco di prova per confutare o certificare queste nostre riflessioni. L’analisi dei numeri del Dca 302/2025 afferma una verità incontrovertibile: la provincia di Vibo Valentia è sistematicamente privata delle risorse necessarie a garantire cure dignitose, non per caso, non per errore, ma per scelta. E chi ha il dovere di vigilare, denunciare e correggere — dalla Regione, alla Commissione aziendale, al management territoriale — ha deciso che questa scelta può continuare. Ma la sanità non è un favore da distribuire. È un diritto. E quando un diritto viene negato a un intero territorio, non siamo più davanti a un problema amministrativo, bensì una questione democratica.


