Campo di Ferramonti, la liberazione il 14 settembre 1943

Nel campo di concentramento dove tutto avrebbe giustificato odio e violenza, vinse la tolleranza, il dialogo e l'aiuto reciproco

Il 14 settembre 1943 viene liberato dall’ VIII armata britannica il Campo di concentramento di Ferramonti a Tarsia. Come scrive lo storico Carlo Spartaco Capogreco nel suo saggio: ” Ferramonti- la vita e gli uomini del più grande campo d’internamento fascista ( 1940-1945)” , con cui portò a conoscenza dell’opinione pubblica italiana questa storia, gli inglesi furono accolti dalle grida “Amici! Siamo amici! “, urlavano i pochi internati rimasti nella struttura: anziani, ammalati, e un gruppo di giovani rimasti ad accudirli e proteggerli. Erano rimasti nel campo circa 100 persone delle oltre 2000 che erano recluse al momento dello sbarco, il 3 settembre, degli alleati in Calabria.

La situazione nel campo era diventata sempre più precaria e instabile sia per la scarsità di generi alimentari, la razione viveri si era ridotta negli ultimi mesi a 150 grammi di pane e un po’ di verdura, sia perchè dopo la caduta del fascismo avvenuta il 25 luglio non si capiva perché non venivano rimessi in libertà sia gli ebrei che gli internati politici italiani, sia perché si intensificavano le notizie delle atrocità commesse dai tedeschi nei campi di sterminio nell’Europa dell’Est. Il timore principale era che le truppe tedesche in ritirata potessero commettere una strage all’interno del campo che sorgeva a poca distanza dalla statale 19, principale strada di collegamento verso il nord. Il nuovo direttore del campo Mario Fraticelli decise, il 7 settembre, di raggiungere Roma accompagnato dal “capo dei capi” Herbert Landau per perorare la causa della liberazione degli internati al Ministero degli Interni. La notizia dell’ armistizio dell’8 settembre lì raggiunse mentre ancora viaggiavano sulle strade di Napoli.

La situazione nel campo era diventata sempre più precaria e instabile sia per la scarsità di generi alimentari, la razione viveri si era ridotta negli ultimi mesi a 150 grammi di pane e un po’ di verdura, sia perchè dopo la caduta del fascismo avvenuta il 25 luglio non si capiva perché non venivano rimessi in libertà sia gli ebrei che gli internati politici italiani, sia perché si intensificavano le notizie delle atrocità commesse dai tedeschi nei campi di sterminio nell’Europa dell’Est. Il timore principale era che le truppe tedesche in ritirata potessero commettere una strage all’interno del campo che sorgeva a poca distanza dalla statale 19, principale strada di collegamento verso il nord. Il nuovo direttore del campo Mario Fraticelli decise, il 7 settembre, di raggiungere Roma accompagnato dal “capo dei capi” Herbert Landau per perorare la causa della liberazione degli internati al Ministero degli Interni. La notizia dell’ armistizio dell’8 settembre lì raggiunse mentre ancora viaggiavano sulle strade di Napoli.

La solidarietà della Calabria migliore

Giù intanto la gran parte dei 2000 internati avevano già abbandonato il campo di concentramento spaventati dal passaggio delle truppe e dei carri armati della ” Hermann Goring” in ritirata verso il nord. Tutti trovarono rifugio nelle campagne e nei borghi della valle del Crati. Spartaco Capogreco riporta la testimonianza dei coniugi Anny ed Ennest Lazar : “La gran parte delle oltre duemila internati ci siamo sparpagliati a piccoli gruppi per i colli sovrastanti il campo, trovando ovunque quell’encomiabile aiuto e quella genuina solidarietà della gente di Calabria che nessuno potrà mai dimenticare”.

Chi trovo rifugio nelle case di campagna, chi nelle stalle, chi nei pagliai assieme ai polli, ai maiali ed ai somari. Molti si rifiuggiarono sui colli a Santa Sofia d’Epiro, a Bisignano, nella stessa Tarsia. Nella loro ritirata le truppe tedesche passavano vicino al campo, dove si fermarono una mattina degli automezzi con a capo un generale della Wehrmacht che chiese ai giovani che stavano a controllare l’ingresso che cosa vi fosse in quelle baracche e che rappresentava la bandiera bianco gialla che vi sventolava.I giovani risposero che era un campo di civili con donne e bambini e che purtroppo vi erano stati dei casi di colera nei giorni precedente.

La scusa fu bevuta dal generale tedesco che diede ordine ai suoi uomini di proseguire e non entrare nel campo. Nel frattempo a Roma, al ministero degli interni, il Direttore Fraticelli apprese che nei giorni precedente era stato inviato l’ordine di sgomberare il campo e di trasferire tutti gli internati a Pisa. L’ordine non arrivò mai e questa fu la fortuna delle duemila persone che altrimenti sarebbero terminati nei campi di sterminio tedeschi.

Mario Fraticelli, che prosegui le politiche di dialogo e coinvolgimento instaurate da Paolo Salvatore primo direttore del campo, riusci ad ottenere con la sua presenza il nuovo ordine di libertà per tutti gli internati. Nei cinque anni di apertura del campo, che chiuse il 6 settembre 1945,i contatti tra internati e popolazione calabrese furono continui. Nel tempo di instaurò un proficuo mercato a base di acquisti di prodotti alimentari, ortofrutticoli, da parte degli internati che ricevevano una diaria giornaliera da parte della direzione del campo e spesso di forme di baratto vero e proprio tra assistenza sanitaria fornita dai medici reclusi nel campo alla popolazione esterna. Emblematico è il racconto dell’internato Emilio Braun che recatosi a Tarsia per acquisti chiese al negoziante se avesse dello zucchero.

Grande fu la sua meraviglia, quando il negoziante gli chiese di quanto zucchero avesse bisogno. “Ma voi ne pigliereste nche di più?” Altrochè – risposie Emilo Braun… “Alllora vi darò tutto quello che vi serve!” , rispose il negoziante. Ci diede, conclude Braun, cinquanta chilogrammi di zucchero al prezzo di listino e alla mia domanda come facesse ad avere tale disponibilità, rispose: ” Sentite, q ui da noi la gente o ne consuma pochissimo, oppure non ne consuma affatto, perchè troppo caro: siamo gentee povera…”.

La costruzione del campo

Le leggi razziali dell’autunno del 1938 stabilivano tra l’altro l’espulsione di tutti gli ebrei stranieri dal suolo italiano entro sei mesi e veniva revocata la cittadinanza italiana agli ebrei a cui era stata concessa dopo il 1 gennaio 1919. In questo modo centinaia di cittadini italiani dalla sera alla mattina divennero apolidi, senza alcuna cittadinanza. Con l’entrata in guerra del 10 giugno 1940 gli ebrei profughi e apolidi vennero considerati come nemici dell’Italia.

Nel settembre 1940 viene emanato un nuovo decreto del Duce che stabilisce che tutti i sudditi nemici potevano essere raggruppati in speciali campi di concentramento.Nel su d furono aperti diversi campi di concentramento situati in palazzi, edifici pubblici, scuole, caserme. L’unico vero campo di concentramento di nuova costruzione fu quello di Ferramonti.


La collocazione del campo fu in una zona malarica, nella valle del Crati, a 40 km da Cosenza. L’area era rientrata nel grande piano di bonifica voluto da Mussolini ma i risultati erano stati scarsi. L’ impresa Parrini che aveva effettuato gran parte delle opere di bonifica aveva proposto al ministero di costruire il campo nelle vicinanze del loro cantiere di bonifica. Ai primi di giugno arrivò l’ordine di inizare i lavori per la costruzione della prima baracca che doveva ospitare i primi prigionieri entro la fine di Giugno.

Il 20 Giugno 1940 arrivò il primo gruppo di ebrei stranieri. Il campo era tutto in costruzione, le baracche venivano costruite in legno con pianta ad U. Lo stesso Ispettore medico del Ministero dell’interno dichiarò; ” Non poteva scegliersi località più inidonea, malarica, in mezzo a stagni d’acqua, senza comunicazione stradale con la stazione ferroviaria di Tarsia, piu’ bassa del vicino fiume Crati. Quando piove tutto il campo diviene un ampio acquitrino. Perfino in treno ho udito dei commenti sfavorevolissimi sulla località per cui un viaggiatore espresse il sospetto che fosse stata deliberatamente scelta per far ammalare e morire gli internati”. Ma forse piu’ di questa, la vera motivazione fu quella di un altro recluso che riporta sempre Capogreco nel suo libro: ” Ferramonti”: “…Ma gli affari sono affari, così la pensano tutti e quindi anche il commendatore Parrini che per di piu’ doveva ubbidire ad “interessi superiori”. C’era in gioco la ” sicurezza del Paese”, bisognava isolare gli elementi sospetti, c’era la paura dello spionaggio e non so che cosa altro. Certo il Commendatore fu pressato da ministri, sottosegretari, gerarchi ecc. e i lavori per Ferramonti procedevano…”.

Ieri e oggi

Quanti sinistri similitudini con l’attualità. Questo avvenimento del tutto diverso storicamente fa comunque venire in mente la costruzione oggi del campo di accoglienza in terra di Albania. Certo oggi non parliamo di campo di concentramento bensì di campo di accoglienza, ma molte sono le similitudini i ad iniziare dalla zona prescelta per la costruzione, periferica, lontana, in culo al mondo. E le ragioni politiche alla lontana i assomigliano molto, allora gli ebrei erano considerati gli ultimi del mondo, oggi tocca ai disperati del sud del mondo avere un trattamento per alcuni aspetti similari.

E si perché il campo di concentramento di Ferramonti non ha nulla a che spartire con i lager tedeschi di sterminio. Era un campo di reclusione come tanti centri d’accoglienza oggi seppure i tempi di permanenza, sulla carta, dovrebbero essere diversi. Nel paragone tra il campo di Ferramonti e quelli di oggi certamente quelli attuali ci perdono. Infatti il campo di Ferramonti verrà definito dallo storico Steinberg: “il piu’ grande Kibbutz del continente europeo”. Il Jerusalem Post, in un articolo dedicato a Ferramonti, lo descrive come “un paradiso inaspettato”. Un esempio unico e luminoso in tutta la tragica e dolorosa storia della Shoah.

La vita nel campo

Il campo di concentramento di Ferramonti fu il piu’ grande d’Italia, arrivò ad ospitare fino a 3 mila reclusi. I primi arrivi furono di un centinaio di ebrei, solo uomini. A settembre 1940 si arrivo’ a 700 persone con l’arrivo di 300 ebrei provenienti dalla Libia con le prime donne e i primi bambini.

La situazione del campo divenne drammatica per la scarsità d’acqua e di viveri. Un aiuto prezioso fu fornita dall’associazione la ” Mensa dei bambini” , un’associazione con sede a Milano costituita da Israele Kalk che fin dall’apertura del campo invio continuamente generi alimentari di ogni tipo ad iniziare dal pane. Nel 1941 a Ferramonti arrivarono altri 300 ebrei jugoslavi e non solo arrivarno anche prigionieri slavi, cinesi, greci, albanesi. Nel marzo del 1942 arrivarono altri 500 prigionieri ebrei scampati al naufragio del battello Pentcho.

Infine ad inizzio del 1943 arrivarono anche prigionieri politici italiani. Un mondo vario, con usanze e credi diversi. Un mondo dove poteva scoppiare odio e violenze sia all’interno che con il mondo esterno, ma che invece fu un esempio i convivenza e di aiuto reciproco. Il campo fu metà di visite continue sia del Nunzio Apostolico Monisgnor Borgoncini-Duca e sia del Rabbino Capo di Genova, Riccardo Pacifici, che verrà successivamente estradato ad Auschwitz dove morì con la moglie e altri suoi parenti.

La vicenda del battello Pentcho

La vicenda del battello Pentcho è attualissima. Il battello che a malapena si teneva a galla partì da Bratislava con a bordo 500 giovani ebrei, cechi e slovacchi in maggioranza, che volevano raggiungere la Palestina. Il viaggio fu un calvario, doveva attraversare tutto il Danubio, il Mar Nero e l’Egeo. Il Perntcho lasciò Bratislava il 18 maggio 1940 lungo le acqua del Danubio.

Dopo varie peripezie raggiunta la Romania il battello restò fermo in fiume aperto per due mesi in attesa delle autorizzazioni necessarie. Fame, sete, caldo, condizioni igieniche pessime, erano i padroni a bordo, prima dell’autorizzazione all’attracco. Rispedita in pieno fiume riprese la navigazione. Il 21 settembre 1940 il battello guadagnò le acque del mar Nero, dopo una sosta ad Atene riprese la navigazione nel mare Egeo. Il 9 ottobre , dopo quasi 6 mesi di navigazione, si incagliò e affondò nel mar Egeo sulla costa dell’isolotto abbandonato di Kamila-Nisi.

Dopo otto giorni dal naufragio la nave militare italiana ” Camogli”, partita dal porto di Portolago riuscì a portare in salvo i profughi che erano abbandonati a se stessi sull’isolotto in condiizoni disperate. Anche qui come non fare il confronto con i tanti naufragi nel mediterraneo e con la sciagura di Cutro. I naufraghi trascorsero un anno a Rodi in un campo profughi improvvisato e dopo furono inviati al campo profughi di Ferramonti. Alla famiglia Fahn fu permesso di rimanere a rodi, e tutti pensavano alla fortuna avuta. Nel febbraio del 1944 i tedeschi avrebbero invaso Rodi e spedito tutti i prigionieri ebrei verso i campi di sterminio di Auschiwitz.

Paolo Salvatore, primo direttore

Il più grande Kibbutz del continente europeo, fu definito Ferramonti. Ciò fu dovuto in gran parte al suo primo direttore: il commissario di pubblica sicurezza Paolo Salvatore. Nella disgrazia un vero e proprio colpo di fortuna. L’organizzazione del campo prevedeva un pieno coinvolgimento degli stessi internati, ogni baracca aveva un suo rappresentante eletto democraticamente. A loro volta i delegati eleggevano un ” capo dei capi” e si riunivano ogni settimana per discutere dei problemi della vita quotidiana.

Nel campo, al fianco delle baracche che sorgevano e che avrebbero raggiunto il numero di 93, nascevano anche scuole, chiese, un asilo, una biblioteca. Era consentita l’assoluta libertà di culto, al fianco di una chiesa cattolica c’era una sinagoga. C’era una infermeria con il suo medico e siccome quelllo italiano del campo non valeva molto , la gente veniva curata dai medici presenti tra i reclusi. Già allora la sanità calabrese lasciava a desiderare. Infatti molti degli reclusi erano personaggi di primo piano, intellettuali, professionisti che eccellevano nel loro campo, artisti, musicisti. “Questo miracolo della tolleranza e della compassione umana fu sicuramente creato dal suo direttore Paolo Salvatore”, scrive l’associazione Gariwo, Gardens of the Righteous Worldwide: “Paolo Salvatore non fu un eroe nel senso classico e popolare del termine, cioè colui che è capace di azioni clamorose e dirompenti, ma fu piuttosto un “eroe quotidiano. Albert Alkalay, un ex internato, nel suo libro The Persistence of Hope racconta che per non consegnare alla gestapo Mirko Davicio, un militante comunista, lo fece infettare di paratifo e ricoverare nell’infermeria del campo.

Il greco Constantinis Zotis riferisce come Salvatore sosteneva che gli ebrei erano lì per essere protetti dai nazisti. Giorgio Amendola che fu internato a Ponza,nel libro Un’isola così lo ricorda: “Quando tornai a Ponza nell’aprile del ’36 trovai un funzionario cortese che voleva ostentare la sua umana comprensione per le nostre condizioni. Egli aveva rinunciato ad imporre le costrizioni volute dai suoi predecessori”. Paolo Salvatore fu trasferito ad altro incarico ad inizio 1943, dopo aver preso a schiaffi un fanatico fascista, che avrebbero voluto una ben diversa conduzione del campo.il suo operato di apertura, dialogo e coinvolgimento era stato denunciato, a piu’ riprese, dalla federazione fascista di Cosenza e dal capo della milizia di Ferramonti.

Già nel giugno 1942, il comando generale della Milizia Volontaria per la sicurezza nazionale, aveva denunciato le presunte irregolarità presenti nel campo con l’assenso del direttore. Verso Paolo Salvatore si impiantò una specie di caccia alle streghe che si concluse con il suo trasferimento a Chiavenna, vicino Sondrio. La sua opera di apertura però fu continuata dal suo successore Mario Fraticelli.

Le armi strumento di dialogo

Fa specie vedere che il governo di Israele, di un popolo che ha subito tali persecuzioni, violenze, sterminio, di cui si tentò il genocidio completo, usa, oggi, violenza, persecuzione, distruzione, massacri contro un altro popolo, quello palestinese con la motivazione della difesa del proprio popolo contro il massacro compiuto da Hamas il 7 ottobre. La vicenda di Ferramonti non sembra aver lasciato grandi lezioni. Lì, in una situazione terribile, in un campo di concentramento, in una zona malarica, dove tutto avrebbe giustificato odio e violenza, egoismi e vendette, lì vinse, invece, la tolleranza e la convivenza pacifica, l’aiuto e la comprensione tra gente e popoli di culture e religione diversa. Ebrei, zingari, comunisti, ortodossi, cattolici, atei, slavi, greci, albanesi, trovarono la forza del dialogo e dell’aiuto reciproco. In un luogo di morte vinse la vita. Nel Mondo civile di oggi che inneggia alla libertà e alla democrazia si incita invece alle armi come strumento di dialogo.

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