La cosca Iannazzo provava a rialzarsi con estorsioni, usura e società fittizie: 8 arresti a Lamezia

Operazione congiunta di Carabinieri e Polizia coordinata dalla Dda di Catanzaro. Sigilli a un’autonoleggio, sequestrati oltre 7.800 euro

È scattata nella mattinata del 20 maggio 2025 un’importante operazione antimafia nei confronti della cosca Iannazzo di Lamezia Terme. I carabinieri del Comando provinciale di Catanzaro, insieme alla Polizia di Stato di Catanzaro e Lamezia Terme, hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip del Tribunale di Catanzaro, su richiesta della Dda. Otto le persone coinvolte: sei in carcere e due agli arresti domiciliari.

I reati ipotizzati, a vario titolo, includono associazione mafiosa, estorsione, usura, intestazione fittizia di beni, accesso indebito a dispositivi di comunicazione da parte di detenuti e detenzione di armi da fuoco. Contestualmente, sono stati disposti il sequestro preventivo di una società di autonoleggio operante nei pressi dell’aeroporto e di una somma di 7.820 euro.

L’indagine

L’indagine, coordinata dalla Dda di Catanzaro, è stata condotta dal Nucleo Investigativo di Lamezia Terme tra il giugno 2020 e il settembre 2023, con l’ausilio di attività tecniche e incroci investigativi con altri procedimenti. È emersa una perdurante operatività della cosca Iannazzo, nonostante le pesanti condanne e arresti inflitti con le precedenti operazioni Andromeda del 2015 e 2017, che avevano decimato l’alleanza Iannazzo-Cannizzaro-Daponte.

Secondo quanto accertato, in seguito a queste operazioni, il clan avrebbe tentato di riorganizzarsi per mantenere il controllo del territorio, in particolare nei quartieri di Sambiase e Sant’Eufemia e nell’area industriale. In assenza dei capi storici, detenuti o condannati, avrebbero preso le redini la moglie del boss e uno dei suoi uomini più fidati, mai coinvolti nelle inchieste precedenti.

Il gruppo

Il gruppo ha continuato a operare con un numero ristretto di affiliati, occupandosi di estorsioni, usura e controllo economico del territorio, esercitando influenza anche nelle controversie tra privati. I proventi illeciti venivano reinvestiti in attività economiche fittiziamente intestate a terzi, come nel caso di una società di autonoleggio formalmente gestita da un prestanome e dalla moglie, ma riconducibile agli esponenti mafiosi.

Non sono mancati episodi di comunicazioni illecite dal carcere, dove il figlio del boss, grazie a un cellulare nascosto, forniva direttive sull’attività del clan. Documentata anche una tentata estorsione a un imprenditore edile e un episodio in cui un debitore sarebbe stato costretto, con minacce, a pagare una somma di oltre 2.150 euro, in assenza di procedimenti legali.

L’inchiesta si trova attualmente nella fase delle indagini preliminari.

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