Il sit-in del “Comitato Caregivers” e dei dipendenti del don Mottola di Drapia davanti ai cancelli dell’Asp riprenderà domani mattina alle ore 10. Nessuno intende fare passi indietro, mentre nelle stanze del palazzo Asp nessuno fa passi avanti. E non si tratta di due posizioni parallele destinate a non incontrarsi mai. Ci troviamo di fronte a due posizioni parallele destinate, purtroppo, a incontrarsi e scontrarsi.
Sindaci compatti
Sindaci compatti
L’unica speranza è legata alla presa di posizione compatta di tutti i sindaci del Vibonese che, rispondendo tempestivamente all’appello accorato del primo cittadini di Drapia, Alessandro Porcelli, hanno dato un segnale di attenzione verso le fasce deboli probabilmente senza precedenti. Per certo la protesta di caregivers e dipendenti non appare destinata a fermarsi in assenza di risposte concrete. Peraltro, mentre i familiari dei degenti del don Mottola sono animati dalla paura di vedere i loro cari trasferiti in qualche ospedale lontano da casa in caso di chiusura della struttura drapiese, gli oltre 50 dipendenti, età media 32 anni, vedono il loro posto di lavoro appeso ad un filo. Nè gli né gli altri intendono assistere all’arrivo della bufera standosene con le mani in mano. Ed è proprio uno dei familiari del don Mottola a firmare una testimonianza che è soprattutto un’analisi lucida di quello che sta accadendo.
Tutela della salute
A mettere nero su bianco è Rocco Riso, dipendente Inps e membro da sempre del “Comitato Caregivers”. “Il presidio davanti all’Asp – esordisce – continuerà ad oltranza – La protesta continua, la rabbia sale, la pazienza sta per traboccare. La speranza è la presenza dello Stato tra i corridoi dello stabile che per anni ha prodotto soltanto clientelismo e assortimenti di ogni genere, ma non certo la volontà di prendere per mano i cittadini che manifestano per vedersi riconoscere un diritto sacrosanto. Anzi, al contrario, il diritto viene calpestato, osteggiato in nome di un qualcosa che a distanza di due anni ancora rimane all’oscuro. Chi sono – si chiede – questi signori che si pongono di traverso di fronte ad una problematica molto seria? Ma può bastare una sentenza della Corte Costituzione che afferma il principio che la tutela della salute non può essere subordinata a logiche contabili, e che va considerata una priorità assoluta?”. A parere di Riso, stando ai fatti, il significato della parola salute non lo conoscerebbero né l’Asp né la politica in base a una logica dilagante nel Vibonese non a caso territorio costantemente maglia nera nelle valutazioni di ogni settore effettuate da istituti specializzati.
Non basta avere una pec
“I fatti del “Don Mottola” – continua il membro del Comitato – lasciano un segno amaro, triste. Difficile da metabolizzare. Un frammento della pubblica amministrazione commissariata dalla pubblica amministrazione stessa. Una sconfitta per tutti. Le anomalie sono tante come tante sono le istanze dei cittadini. Istanze dove nemmeno la “serietà” della tecnologia utilizzata (Posta elettronica certificata) in questi due anni ha colto nel segno. Oltre 120 richieste inviate dai familiari all’indirizzo Pec dell’Asp non hanno ancora prodotto nulla”. Nelle riflessioni di Rocco Riso c’è amarezza per una realtà che non cambia percorso e non apre spiragli sul futuro. “Non serve avere un indirizzo di posta elettronica: molto più efficace una tessera di partito. Una parola al “Don” di turno, un segnale ad un amico con “le mani in pasta”, come spesso si apprende dai giornali. Uno spaccato inquietante. Del resto, e parlo da familiare di soggetto fragile, in condizioni normali nulla può distruggere quel muro di gomma”.
Una sola speranza
L’unica speranza il dipendente Inps la ripone nella terna commissariale chiamata a far luce su un sistema che starebbe rendendo utopico il diritto alla salute degli utenti sanitari. A guardare con attenzione quello che succede nell’Asp, secondo Riso, e se alle orecchie dei membri della terna dovessero arrivare, spinte dal dio Eolo, soffiate significative, potrebbero saltare fuori profili da valutare. “Sarà – dice – interruzione di pubblico servizio, omissione atti d’Ufficio, comportamento contrario ai propri doveri d’Ufficio. Ci penserà Eolo, forse”. Sarà quel che sarà, ma, per certo, “combatteremo la nostra battaglia con gli strumenti che questa democrazia ci mette a disposizione e – sottolinea – non con la codardia che ad oggi ha caratterizzato questa circostanza. Combatteremo la nostra battaglia comunicando in modo pacifico – conclude – e non telefonando agli amici per disertare incontri risolutivi importanti. Combatteremo la nostra battaglia per cambiare le regole…le loro regole”. Le stoccate di Rocco Riso, probabilmente, vanno verso un indirizzo preciso. Un indirizzo che quanto potrebbe diventare manifesto.